giovedì 25 febbraio 2010
Assignment 6
Ringrazio il professore x avermi dato questa opportunità di esprimere le mie opinioni sulle discipline orientali a questa "blogclasse".
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Vi posto il mio link delicious : http://delicious.com/cdvceri
mercoledì 24 febbraio 2010
Ninjutsu
Ninjutsu (arte dell'invisibilità) è la denominazione collettiva di un insieme di metodi spionaggio e strategia utilizzati sin dal cosiddetto medioevo del Giappone (1185 - 1625 circa).
La parola ninjutsu consiste di due parti:
nin (furtività, persistenza, pazienza), che in Giappone ha acquisito l'accezione ulteriore di "muoversi non visti" o "agire di soppiatto".
jutsu (arte)
Una traduzione possibile del termine ninjutsu è: "tecnica delle operazioni furtive". Qualche volta si incontra la grafia latinizzata ninjitsu, ma si tratta di una forma aberrata dello stesso termine diffusa soprattutto nei paesi angolosassoni. Il ninjutsu è ormai noto in Giappone e soprattutto in Europa come una delle antiche (koryu) Arti Marziali giapponesi. L'esperto per definizione nelle tecniche di ninjutsu è rappresentato nell'immaginario moderno dal Ninja.
A partire dall'epoca Kamakura, dopo la graduale perdita di potere della casa imperiale incentrato attorno alla figura del Tenno i governatori provinciali, un tempo incaricati dall'imperatore stesso, divennero indipendenti e cominciarono una escalation militare che porterà a diverse guerre tra feudi (kuni, un tempo semplici giurisdizioni civili) e al succedersi di reggenti guerrieri (Shogun) alla guida del paese, solo nominalmente investiti dall'imperatore. È nell'epoca degli scontri più accesi tra diversi signori della guerra (daimyo), il periodo noto come dei "Feudi Combattenti" (Sengoku) che si renderanno sempre più necessarie mansioni spionistiche di militari addestrati e strategie sempre più sofisticate. Sembra che i maggiori esperti nella guerriglia fossero i signori di alcune aree geografiche remote e non politicamente forti, come Iga e Koga, che dovettero proteggersi con sistemi di intelligence piuttosto che con il dispiegamento di grandi armate. Ne sarebbe una prova il fatto che dopo l'unificazione del paese da parte di Tokugawa Ieyasu nel 1601, che darà inizio ad un Era relativamente pacifica fino alla restaurazione Meiji, egli stesso ed i suoi successori si avvalsero del servizio di alcuni uomini discendenti delle famiglie di Iga e Koga, impiegati come guardie, poliziotti e spie. In realtà la dottrina militare (bujutsu) trasmessa in diverse scuole antiche, talune ancora esistenti, contiene spesso un repertorio di tecniche di guerriglia e spionaggio chiamato Ninjutsu. D'altra parte il sistema tipico di trasmissione delle varie conoscenze tecniche nei clan giapponesi, attraverso una tradizione prettamente orale e un insegnamento diretto delle varie conoscenze, fa si che la comprensione attuale di queste arti sia a volte dubbia e debba fare i conti con interpolazioni e leggende.
Con alcune eccezioni, dovute al tentativo di alcuni maestri di dare vita a nuovi sistemi di Arti marziali giapponesi basati su queste tecniche, il Ninjutsu è praticato marginalmente e più spesso come complemento tecnico e teorico nel contesto di discipline marziali tradizionali e definisce ormai esclusivamente le tecniche utilizzate nel passato feudale giapponese
La figura storica dei ninjia
I ninja portavano abiti neri per la notte e abiti di colore marrone-cachi per le ore del giorno: lo sappiamo grazie ad esemplari autentici conservati nel museo Ninja di Iga-Ueno. Erano esperti di arti marziali e la preparazione fisica meticolosa occupava gran parte della loro giornata: uno degli esercizi più in voga era quello di saltare di ramo in ramo roteando il corpo attorno al fulcro costituito dalle braccia tese. All'occorrenza, poi, un Ninja poteva fungere da sicario e compiere un omicidio mirato, ma mai una strage, come alcuni cruenti videogiochi o telefilm ci hanno abituato a vedere. Essi, poi, non erano soltanto delle spie. Oltre allo spionaggio vero e proprio, costoro erano esperti di sabotaggio, tortura, ed appunto, l'eliminazione fisica degli avversari (omicidio mirato), azioni tipiche dei commando. Praticavano le arti marziali ai livelli più eccelsi. Erano, in breve, polivalenti. Non di rado, avevano compiti di polizia per il mantenimento dell'ordine pubblico, oppure costituivano una specie di servizio segreto alle dipendenze del daimyo locale. Infine, spesso, erano pure investiti del compito di guardia del corpo dello shogun: una specie di guardia pretoriana nipponica.[1]. I Ninja operarono dal 1185 circa alla fine dello shogunato, nel 1868, quando ebbe termine il cosiddetto "Medioevo giapponese". In realtà essi non smisero di esser addestrati, ma il loro utilizzo divenne maggiormente "mirato" e la loro preparazione venne rigorosamente e meticolosamente organizzata a livello centrale da parte dello Stato: diminuirono di numero, ma la qualità delle loro prestazioni aumentò notevolmente. Ad esempio, a differenza di quanto avveniva nei secoli precedenti, a partire dal 1890 essi erano obbligati ad imparare una o più lingue straniere. Figure di agenti infiltrati nelle linee nemiche con caratteristiche identiche a quelle dei Ninja sono state descritte dalle fonti dell'esercito zarista durante la Guerra russo-giapponese, e precisamente nelle battaglie del Fiume Yalu, di Mukden e durante l'assedio di Port Arthur. Inoltre, siamo abituati allo stereotipo del guerriero Ninja armato di una sciabola, la Katana, tipica del samurai. In realtà, l'armamento dei Ninja era quanto mai variegato e scelto in base alla tipologia di missione che in quel particolare frangente era da compiere [2]. Pertanto, oltre alla katana, esisteva un arsenale composto da archi e dardi, giavellotti, pugnali, e via discorrendo. Nella fattispecie entravano nel loro corredo:
* la Katana (sciabola)
* la Ninjatô anche chiamata Shinobi-to (un particolare tipo di spada a profilo dritto e più corto rispetto alla tradizionale katana);
* il Bō (un bastone molto lungo);
* la Wakizashi (spada corta, ad un solo filo);
* il Kunaï (un coltello in metallo atto a scavare piccoli buchi nel terreno, all'occorrenza utilizzabile anche come dardo da lancio)
* le Shuriken o shaken (letteralmente lame volanti sia di forma circolare sia oblunghe. Sono note come "Le stelle dei Ninja")
* le Bo-Shuriken chiodi lunghi 20 - 30 centimetri da posizionare negli spazi interdigitali per poter esser lanciati);
* la Kaginawa (ancorette unite ad una corda, sia da lancio, che per arrampicarsi);
* la Kamayari (una picca con arpione);
* la Kusarigama (falcetto con una catena attaccata all'incrocio tra lama e manico. la catena aveva anche un peso all'altra estremità);
* i Manrikigusari (coppia di piccoli pesi posti all'estremità di una catena)
* i Mizugumo (dei galleggianti per attraversare pozze d'acqua);
* il Tanto (tipico coltello da uso quotidiano giapponese)
* le Ashiko (calzature chiodate);
* il Tekagi e la sua variante, il Shuko (bracciali puntuti e pugni di ferro anch'essi puntuti);
* il Jô (una spenga);
* la Fukumibari (una cerbottana);
* le Makibishi (chiodi a quattro punte da disseminare sulle strade) e le loro varianti, le Tetsubishi (dardi a quattro punte per egual fine);
* la Naginata (una alabarda);
* il Kyoketsu Shogei (un corto pugnale con paramano curvo che dà la forma di un arpione, dotato di una lunga corda con al termine un anello metallico);
Entrarono, in tempi recenti (a partire dal 1700) anche armi da fuoco (piccoli obici quali gli Ōzutsu) e granate Metsubushi (目潰し, "Chiudi occhi", ovvero piccole bombe dirompenti a carica metallica). In pratica, i Ninja non ebbero in alcuna epoca quell'alone di guerrieri dalle caratteristiche "soprannaturali" che il cinema ci ha da sempre mostrato. Semplicemente, essi erano una casta di guerrieri che operavano in genere singolarmente ed il cui teatro d'azione era talmente vasto che poteva andare dalla semplice raccolta di informazioni, all'omicidio su commissione.
Muay Thai
La Muay Thai (in lingua thailandese มวยไทย) nota anche come Thai Boxing o Boxe Thailandese, è uno sport da combattimento che ha le sue origini nella Mae Mai Muay Thai, antica tecnica di lotta thailandese. La Mae Mai Muay Thai studia combattimenti sia con le armi che senza ed era utilizzata dai guerrieri thailandesi in guerra, qualora avessero perso le armi.
Attualmente il termine Muay Thai oggi identifica prevalentemente l'aspetto sportivo dell'arte marziale.
Rituali pre-combattimento
La fase che precede il combattimento è la parte che si può definire come la più importante per l’atleta, infatti, in questi attimi il combattente deve trovare la concentrazione, la tranquillità e il favore degli spiriti benigni per far si che il combattimento abbia un buon esito. Tutto questo si verifica con lo svolgimento di tre rituali pre-combattimento che sono: - Kuen Suu Weitee, - Ram Muay, - Pitee Tod Mongkon.
Kuen Suu Weitee
L’entrata nel ring è un momento molto importante, essendo un punto focale nella preparazione dell’atleta all’incontro dal punto di vista psicologico. È una fase di meditazione, preghiera e incantesimi nonché un susseguirsi di gesti scaramantici e magici come per esempio il modo di salire le scale del ring e passare le corde. Tutto questo serve per infondere fiducia all’atleta e per sgomberare la mente da pensieri inutili che possono condizionare il modo di affrontare l’incontro.
Ram Muay
La Ram Muay è una danza rituale che viene eseguita con movimenti lenti e simbolici accompagnati da una musica che prende il nome di Dontree Muay (musica che accompagna tutto lo svolgimento dell’incontro, l’intensità della Dontree Muay cresce man mano che l’incontro si fa più cruento). Questa danza serve per ottenere il favore degli spiriti benigni e per scacciare gli spiriti maligni dal terreno dello scontro. Questo rituale ha una valenza non solo religiosa ma anche pratica, infatti, viene usata come forma di stretching per riscaldare i muscoli e prepararli allo scontro.
L’esecuzione di questa danza viene accompagnata dalla recitazione in modo silenzioso di preghiere e formule magiche propiziatorie, che servono per ottenere un buon esito dello scontro. I movimenti che caratterizzano la Ram Muay possono variare o essere completamente diversi a seconda della scuola di appartenenza o dello stile di combattimento utilizzato dall’atleta. La Ram Muay oltre ad avere un significato mistico-religioso mira fondamentalmente a dimostrare devozione religiosa, umiltà e gratitudine da parte dell’allievo, nei tempi antichi il rituale era rivolto a dimostrare devozione al Re e al proprio mentore, oggi invece è rivolto all’organizzatore dell’incontro e al proprio allenatore. La Ram Muay si sviluppa in tre fasi fondamentali: - Whai Khru o Whai Khru Ram Muay, - Taa Phrom Naang, - Phrom Si Na.
Whai Khru
Il Whai Khru è la parte più importante della Ram Muay, è un rito di puro rispetto che prende varie forme in diversi contesti, per capire il significato in modo corretto nel contesto della Muay Thai bisogna capire che il Khru ovvero”maestro “ nella cultura Thai è colui che fornisce il proprio sapere; i genitori nell’ambito famigliare, i monaci nel contesto religioso, il re nel contesto assoluto. Indipendentemente dal contesto di riferimento colui che fruisce degli insegnamenti rispetta in maniera assoluta il proprio maestro e tratta i suoi pari come se fossero i suoi fratelli e sorelle all’interno del nucleo famigliare. Esistono tre diverse forme di Whai Khru che gli allievi imparano durante il loro tragitto di apprendimento:
Kuen Khru, Yor Krhu:
Questa è la forma che viene eseguita dall’allievo quando viene accettato come studente dal maestro, che si impegna a insegnarli tutto il suo sapere.
Whai Khru Prajam Pee:
Questa è una forma particolare del Whai Khru che viene eseguita in occasioni particolari, (ad esempio in occasione di celebrazioni religiose), come omaggio al proprio maestro e come forma di rispetto per i maestri passati
Whai Khru Ram Muay:
Questa è la forma che gli atleti eseguono prima di un combattimento e assume questo nome perché il Whai Khru viene inserito in una danza rituale detta Ram Muay.
Molti sostengono che ci sia una quarta forma della Whai Khru detta Krob Khru, forma che viene riservata a coloro che dopo un lungo percorso d’apprendimento vengono iniziati al ruolo di insegnanti, e ritenuti pronti per diffondere le proprie conoscenze. Questa danza è senza dubbio un aspetto affascinante e spettacolare della Muay Thai e non essendo strettamente legata alla religione può essere eseguita anche da atleti occidentali.
Oltre ad essere un segno di omaggio e rispetto verso il proprio maestro questa danza è ricca di significati, che assumono un valore differente asseconda dell’atleta che la esegue, ma tutti gli atleti, in segno di rispetto, si volgono verso il proprio maestro e devono effettuare tre inchini “Saam Krab” alternandoli alla classica posizione delle mani congiunte in preghiera che prende il nome di “Thep Panom”. Con questi passaggi si intende ringraziare e omaggiare la propria nazione, la propria religione, e il proprio maestro e tutti i guerrieri Thai presenti e passati. Il termine Whai Khru tradotto letteralmente vuol dire omaggio al maestro, ovvero omaggio a colui che ti ha donato il suo sapere.
Taa Phrom Naang
Questa parte viene identificata come la parte della Ram Muay fatta a terra, nella quale l’atleta effettua movimenti lenti e precisi che simulano i vecchi bendaggi utilizzati nei tempi antichi, il volo del cigno simbolo di libertà (considerato un animale sacro). I movimenti vengono ripetuti tre volte per omaggiare il proprio maestro e guerrieri passati, la propria patria e la propria religione. In più questa fase permette all’atleta di fare stretching alle gambe preparandole per l’incontro.
Phrom Si Na
Questa fase della Ram Muay è la parte in piedi della danza anche qui l’atleta ripete per tre volte gli stessi movimenti fatti nel Taa Phron Naang con lo stesso significato, in questa fase si va a stimolare le anche per prepararle allo sforzo che dovranno subire durante l’incontro. Questa è la parte più importante per atleta in quanto egli mostrerà tutta la sua indole guerriera al proprio avversario compiendo ripetute volte il passo del guerriero.
Pitee Tod Mongkon
Una volta finite tutte le fasi della Ram Muay l’atleta va verso il suo maestro, che con le mani congiunte al volto inizia la recitazione in modo silenzioso di preghiere e formule magiche propiziatorie per il buon esito del combattimento. Finite le preghiere e i riti propiziatori toglie dalla testa dell’allievo il Mongkon e lo pone sul proprio angolo con la funzione di proteggere l’allievo dagli spiriti maligni per tutta la durata dell’incontro.
Wushu Kung fu
Il termine Wushu, letteralmente tradotto dal cinese significa "Arte Marziale",è nato in Cina ed è considerato l'antesignano di tutte le Arti Marziali.
Il Wushu si è sviluppato per millenni, facendo parte integrante di diverse religioni e culture cinesi , non prevedendo solamente una preparazione fisica ma trovando nel Wushu una capacità psicologica per il rafforzamento dei propri pensieri, della propria vitalità oltre che della propria salute.
Per questo lungo periodo di tempo è stato adottato anche come mezzo, arte di difesa - offesa sia nei campi di battaglia sia contro nemici individuali.
Nella Repubblica Popolare Cinese il wushu è materia di insegnamento scolastico; Gli insegnanti si laureano presso l'Istituto di Educazione Fisica di Pechino - specializzazione Wushu
Il valore atletico del Wushu dei nostri giorni si ritrova nell'educazione e nell'affinamento dei movimenti che devono risultare comunque fluidi, morbidi, eleganti nella loro veloce e spesso complessa successione di gesti, movimenti nei quali la centralità e l'equilibrio del corpo è fondamentale.
Dopo il successo di immagine che il Wushu ebbe partecipando, quale disciplina dimostrativa orientale, ai Giochi Olimpici di Berlino del .1936 gradualmente si è modificato tecnicamente adattandosi alle esigenze competitive dell'occidente diventando un interessante sport internazionale e ponendo le premesse per diventare uno sport olimpico.
Wushu moderno sportivo
Il Wushu moderno sportivo è stato sport dimostrativo alle Olimpiadi del 2000. Alle Olimpiadi di Pechino del 2008 si è tenuta una competizione di Wushu ma non è stato uno dei 28 sport ufficiali. Il Wushu moderno può essere suddiviso in 2 rami principali detti Taolu e Sanshou. Con Taolu si indicano delle sequenze di movimenti codificate e concatenate nelle cosidette "forme", mentre con il termine Sanshou si indica il combattimento.
Taolu
Le sequenze di movimenti seguono i principi di diversi metodi e stili, e possono essere a mano nuda o con attrezzi ed armi.
Nelle arti marziali cinesi l'uso delle armi si è sviluppato parallelamente alla pratica a mani nude.
Nel Wushu moderno le armi fondamentali sono:
* la sciabola
* il bastone
* la spada
* la lancia
Sanshou, Sanda
Il Sanda (o Sanshou) è l'erede sportivo dell'antica tradizione del combattimento a mani nude cinese e nel passato le competizioni di combattimento libero erano molto popolari.
Dal punto di vista tecnico questa disciplina permette di utilizzare un'ampia varietà di tecniche che comprendono colpi portati con le gambe, pugni e proiezioni ovvero tecniche che prevedono l'atterramento dell'avversario durante le azioni di corpo a corpo.
Il combattimento e l'addestramento prevede che si indossino adeguate protezioni: guantoni, paradenti, caschetto, corpetto, conchiglia e paratibie.
martedì 23 febbraio 2010
Kung Fu
Con il termine cinese Kung Fu spesso e volentieri gli occidentali intendono le arti marziali cinesi, ma in realtà il suo significato originale significa esperienza in una qualsiasi abilità, non neccessariamente legata al mondo delle arti marziali.
Arti marziali cinesi è una denominazione che si riferisce alla totalità dei vari stili di arti marziali nati in Cina.
Le arti marziali cinesi, nel loro insieme, hanno ricevuto molte denominazioni diverse, a seconda del luogo e del periodo in cui si sono diffuse. Quando, negli anni trenta, le arti marziali cinesi e giapponesi iniziarono ad essere conosciute in occidente, la conoscenza delle lingue e delle culture dell'asia orientale erano molto limitate. Questo ha portato spesso alla creazione di leggende e di miti (molti dei quali sopravvivono ancora oggi) e ad un uso improprio di molti termini cinesi.
* Kung Fu (pinyin: gōng fu) è il termine più popolare in occidente e ad Hong Kong, soprattuto a causa della diffusione, con questo nome, del cinema sulle arti marziali cinesi. In cinese kung-fu letteralmente significa "esercizio eseguito con abilità" e rappresenta il percorso necessario all'apprendimento profondo di una disciplina (non necessariamente marziale). Per estensione, questo termine indica anche il raggiungimento di un ottimo livello; possedere il kung-fu rappresenta il raggiungimento dell'assoluta padronanza della tecnica.
* Wushu (Wade-Giles: Wu Shu) è il termine più usato nella Repubblica popolare cinese, e si sta sempre più diffondendo anche in occidente. Wu Shu può essere tradotto letteralmente con "arte marziale" ed è un nome collettivo che racchiude al suo interno tutta la miriade di tecniche e stili di combattimento diffusi sul territorio cinese.
* Guoshu (Wade-Giles: Kuo Shu) è il termine più diffuso a Taiwan e significa letteralmente "arte nazionale".
* Quanfa (Wade-Giles: Ch'üan Fa) è una denominazione generica che significa "tecniche di pugno" ossia il pugilato nel senso di combattimento a mani nude.
* Zhongguo quan (Wade-Giles: Chung Kuo Ch’üan) significa "boxe cinese".
Origini leggendarie e storia
Esiste un gran numero di leggende sull'origine delle arti marziali cinesi. Quello che si sa di sicuro è che le prime rappresentazioni artistiche di uomini (probabilmente soldati) in posa marziale risalgono al periodo preistorico (oltre 4000 anni fa). Le arti marziali cinesi rimasero essenzialmente composte da una serie di danze di guerra e da esercizi fisici di preparazione militare fino al periodo denominato "primavere ed autunni" (770 - 476 a.C.) dove nacquero e si svilupparono le grandi correnti filosofiche cinesi come il Taoismo ed il Confucianesimo. In questo periodo le tecniche marziali iniziarono a fondersi con la filosofia e la religione fino a diventare un argomento di studio persino nei monasteri.
Nonostante l'origine delle arti marziali intese più propriamente come metodo di combattimento sia antico e non definito, è da sottolineare che quando si parla di Kung-fu si può più semplicemente prendere come punto di riferimento lo stile Shaolin originario, cioè quello fondato da Bodhidharma nel 500 d.C. circa nell'omonimo monastero. Successivamente si sono sviluppati innumerevoli altri stili e altre arti marziali, ma tutte in modo diretto o indiretto derivate dallo stile Shaolin-quan fondato da Bodhidharma.
La mitologia dello Shaolin Kung-Fu (Piccola foresta e duro lavoro), dicono che il Tempio Shaolin e i monaci furono creati dall'imperatore cinese dell'epoca, come guardia imperiale; la leggenda narra che studiarono il comportamento degli animali per affinare le tecniche di difesa ed attacco, da qui le varie diramazione di stili moderni quali: mantide del nord, tigre bianca, hung gar, tutti derivanti dallo stile principale Shaolin. Il mito dei monaci Shaolin non conosce confini in Oriente, al punto di aver attribuito ad una battaglia l'epico gesto di quattro monaci che da soli hanno sconfitto un esercito di mille mongoli, grazie alle tecniche di Qi-Gong (tecnica della camicia di ferro o insensibilità al dolore).
Le varie persecuzioni religiose che avvennero sotto le dinastie imperiali segnarono il declino di molti templi (fra cui il famoso tempio di Shaolin) e la nascita di "scuole" di arti marziali molto simili a sette segrete ed esoteriche. Questo portò ad un frammentarsi delle tecniche e delle conoscenze dando vita a migliaia di stili molto differenti fra loro, senza contare gli innumerevoli stili detti "del contadino" praticati dagli abitanti delle campagne e che si tramandavano di generazione in generazione.
Durante la grande rivoluzione culturale le guardie rosse, legate alla banda dei quattro, cercarono di distruggere i vari stili di kung-fu. Specialmente quelle più "esoteriche" rischiarono di essere cancellate in quanto viste come un retaggio dell'epoca imperiale sopravvivendo solo come attività sportiva controllata e coordinata da un organismo centrale. Tuttavia oggi stiamo assistendo ad una graduale riscoperta delle tecniche e degli stili più tradizionali.
La difesa personale e l'arte marziale nell'Aikido
L'Aikido non è una disciplina finalizzata al combattimento e fondata sulla ricerca dell'attacco risolutivo e del colpo offensivo definitivo, ma si fonda invece sulla ricerca del migliore comportamento difensivo atto ad evitare la contrapposizione e favorire il disimpegno dal combattimento, con la finalità di rimanere incolumi da danni ed offese: occorre quindi tener ben conto di questa sua peculiare caratteristica quando si voglia parlare dell'Aikido nei termini di arte marziale e/o strumento di difesa personale. Quando le tecniche di Aikido venissero usate per attaccare per primi portando un’offesa anziché usare queste tecniche per la difesa, esse verrebbero di fatto private del fulcro portante su cui si basa e si fonda la loro efficacia.
La difesa perfetta perseguita nell'Aikido è quel comportamento che realizza la perfetta immunità da danni ed offese: pertanto questo obiettivo viene sicuramente raggiunto innanzi tutto quando l'aikidoka riesce a non farsi coinvolgere in un combattimento oppure, in subordine a ciò, quando riesce a vanificare l'attacco dell'avversario ed a farlo desistere dai suoi propositi aggressivi ed offensivi.
L'efficacia delle tecniche di Aikido
Nell’Aikido si opera una distinzione preliminare per definire cosa s'intenda specificamente per “efficacia”. Se si intende l'efficacia sotto il profilo prioritario ed esclusivo della difesa in quanto tale, allora l'Aikidō può considerarsi idoneo ed efficace nel raggiungere lo scopo della difesa personale, mentre se si intende invece l'efficacia seguendo il principio assai diffuso secondo cui il concetto di difesa è visto sotto il profilo prioritario di riuscire ad arrecare all'avversario un’offesa risolutiva del conflitto prima che l'avversario sia riuscito a portare il proprio attacco, allora la risposta non è più certa, poiché non è questa la finalità dell'Aikido dichiarata dal suo Fondatore, Morihei Ueshiba.
Infatti secondo i principi dell'Aikido la difesa che consente la risoluzione del conflitto non si ottiene nel momento in cui si è causato all'avversario un'offesa od un danno risolutivo, poiché in questo caso si devono porre in essere strategie e tattiche volte all'offesa e non alla difesa e non si deve più quindi parlare di tecniche di difesa personale ma di offesa personale, raggiunta attaccando l'avversario prima che sia lui ad attaccare.
In quest’ultimo caso, poiché le tecniche di difesa personale impiegate nell'Aikido sono invece, secondo i principi di questa disciplina, estremamente specifiche nel prevedere il compito della difesa al punto che nella pratica dell'Aikido sono prefissati i ruoli di attacco e di difesa, difficilmente esse manterrebbero la loro piena efficacia nel momento in cui fossero stravolte nella loro naturale e nativa impostazione, cioè nel fine e nello scopo specifico per cui esse sono concepite, il quale non è quello di arrecare un’offesa attaccando per primi, ma quello della realizzazione di un'efficace risposta di difesa basata sul contrattacco. Perciò quando si affronta la questione dell'efficacia delle tecniche di Aikido è bene tener sempre presente che l'arte strategica e la specialità tecnica distintiva di questa disciplina è quella di perseguire un'azione tattica mirata ad evitare la contrapposizione fin dal suo possibile insorgere, attraverso uno specifico comportamento di disimpegno difensivo, non finalizzato all'attacco né tanto meno all'offesa.
La priorità strategica dell'aikidoka nella scelta della sua azione tattica difensiva è quindi quella di arrivare alla risoluzione del conflitto senza subire offesa, impiegando le tecniche dell'Aikido non nella ricerca di riuscire ad infliggere dei danni risolutivi all'avversario, ma essenzialmente al fine di disimpegnarsi da lui e dal combattimento stesso.
In questo contesto non si prende ovviamente in considerazione l'uso delle armi da fuoco od altri moderni manufatti artificiali atti a colpire a distanza, ma esclusivamente le possibilità di offesa e di difesa offerte dal corpo umano a mani nude e consentite dal corpo a corpo, anche eventualmente con l'impiego delle tradizionali armi bianche; i principi di difesa personale su cui si basa l'Aikido mantengono però tutta la loro valenza strategica, etica e morale, anche nel caso di contrapposizione con armi diverse, cambiando naturalmente in modo opportuno ed adeguato la parte tattica, secondo l’esigenza d’uso e di impiego richiesto dai sistemi d’arma utilizzati.
La corretta vittoria
Nell'Aikido il successo nell'azione di disimpegno dal combattimento è indicato come il traguardo della corretta vittoria (dal Fondatore chiamata 正勝 masakatsu), per raggiungere la quale occorre allenare non solo il corpo ma soprattutto lo spirito per conquistare la padronanza di sé stessi (dal Fondatore chiamata 吾勝 agatsu, cioè vittoria su di sé stessi) al fine di conseguire la capacità interiore della rinuncia al confronto, privilegiando sempre ed in ogni caso la strada del superamento del conflitto attraverso il disimpegno dall'antagonismo e dal combattimento. In questo modo l’Aikido persegue un tipo di difesa che vanifichi l’attacco dell’avversario controllando perfettamente la sua azione fin dal suo insorgere (condizione che il Fondatore definiva 勝早日 katsuhayabi), senza giungere a produrgli dei danni e delle offese: l’aikidoista si pone cioè nella condizione di salvaguardare la propria incolumità concedendo nel contempo all’avversario l’opportunità di convincersi a desistere dai suoi propositi offensivi, prima che l'aikidoista debba ricorrere, per legittima difesa, ad azioni coercitive nei confronti dell’avversario nel caso questi perseverasse nei suoi propositi offensivi reiterando il suo attacco.
La corretta vittoria indicata dal Fondatore e perseguita dall’Aikido (正勝 吾勝 masakatsu agatsu) si consegue dunque quando si è riusciti innanzi tutto ad evitare di ricevere un danno a seguito di un attacco offensivo, ma questo risultato da solo non è sufficiente se contemporaneamente non si riesce a rimuovere all'origine ed esattamente nell'istante e nella circostanza della sua insorgenza (勝早日 katsuhayabi) [11] anche la minaccia da cui il danno potenziale poteva giungere. Per ottenere ciò all'aikidoista non è sufficiente evitare le possibili conseguenze negative che possono derivargli dagli attacchi di potenziali avversari; è anche indispensabile che ai potenziali avversari si renda possibile la convivenza civile e la conciliazione con l'aikidoista stesso, utilizzando quindi un’azione difensiva nei confronti dell'avversario che non gli infligga già fin dall'inizio dei danni irreparabili, poiché questi giungerebbero a bloccare un possibile eventuale positivo mutamento delle relazioni dell'avversario nei confronti dell'aikidoista, in direzione meno conflittuale. L'Aikido, offre infatti la possibilità di scegliere un’azione di difesa estremamente efficace ma non offensiva e qualora questa scelta sia sufficiente a consentire di ottenere il perfetto controllo dell’avversario (勝早日 katsuhayabi) e quindi la positiva risoluzione del conflitto, ciò avviene senza obbligare l'aikidoista a ricorrere all'offesa per realizzare la propria difesa.
Il bagaglio tecnico dell’Aikido, estremamente ampio e flessibile, consente di scegliere una condotta d’intervento sull'azione avversaria anche solamente per stornarne gli effetti potenzialmente dannosi; in secondo luogo consente l'eventuale recupero dell’avversario nei confronti delle sue relazioni con l’aikidoista in quanto l’avversario, non essendo riuscito nel suo iniziale intento offensivo e non avendo ancora subìto nel contempo dei danni dall’azione difensiva dell’aikidoista, è ancora in tempo a scegliere non solo di desistere dal suo manifestato atteggiamento offensivo nel timore di dover soccombere qualora insistesse nel suo proposito, ma può ancora anche scegliere di lasciarsi di buon grado condurre dall'aikidoista verso un bene comune superiore a quello del conflitto da lui originato ed eventualmente, memore del rispetto ricevuto, lasciarsi condurre verso la realizzazione di una socializzazione ed una pacificazione che lui prima non concepiva.
È questo il modo in cui, entro certi limiti, l'Aikido può consentire di rispettare l’integrità dell’avversario offrendo nel contempo all’aikidoista la possibilità di sottrarsi agli effetti dell'attacco di cui è fatto oggetto: il bagaglio tecnico dell'Aikido è talmente ampio e diversificato da consentire all'occorrenza di portare anche efficaci azioni coercitive sull'avversario la sua integrità, in questo caso, potrà essere condizionata dalla possibilità da parte dell’aikidoista di mantenere comunque prioritariamente la propria incolumità, in accordanza con il principio fondamentale della salvaguardia del diritto alla legittima difesa in funzione dell’imperativo naturale dettato dalla legge dell’istinto di sopravvivenza.
L’aspirazione a realizzare queste condizioni rendendo possibile porre in atto la propria difesa senza dover obbligatoriamente ricorrere all'offesa, è il traguardo spirituale ed il valore etico e morale che l'Aikido propone alla società civile.
Taekwondo
I principi del Taekwondo
La filosofia del Taekwondo ha come fondamento l'etica, la morale, le norme spirituali attraverso le quali gli uomini possano convivere armoniosamente insieme. Le parole stesse del generale Choi (il fondatore) ci aiutano a capire meglio: "spero sinceramente che attraverso il Taekwondo ogni uomo possa acquistare la forza sufficiente per arrivare ad essere il guardiano della giustizia, opponendosi ai conflitti sociali e coltivando lo spirito umano al livello più alto possibile. È con questo spirito che mi sono dedicato all'arte del Taekwondo per tutti i popoli del mondo". Il generale Choi stabilì la filosofia e i seguenti principi come le basi del Taekwondo e tutti gli studenti seri di quest'arte li dovrebbero osservare e rispettare attraverso il loro cammino sia nell'arte che nella vita.
Lo studente deve cercare di mettere in pratica i seguenti elementi di cortesia per costruire un carattere nobile:
* Promuovere lo spirito di concessioni reciproche.
* Vergognarsi dei propri vizi, rifiutando quelli degli altri.
* Comportarsi educatamente.
* incoraggiare il senso di giustizia e umanità.
* Riconoscere L'istruttore dallo studente, l'anziano dal giovane.
* Rispettare i beni altrui
* Agire con giustizia e con sincerità.
Integrità (Yom chi)
* Bisogna distinguere il corretto dallo sbagliato e avere la consapevolezza quando qualcosa è sbagliato, di sentirsi colpevoli.
Di seguito sono riportati alcuni esempi di mancanza di integrità.
1. Il maestro disprezza sé stesso e l'arte, insegnando tecniche sbagliate ai suoi allievi per una mancanza di conoscenza o di volontà.
2. L'istruttore nasconde le sue tecniche sbagliate con il lusso della palestra e falsi apprezzamenti ai suoi allievi.
3. Lo studente ottiene un grado col solo scopo di sentirsi più potente
4. L'istruttore che insegna e promuove l' arte solo ai fini materiali.
5. Uno studente si vergogna di chiedere aiuto ai suoi minori in grado.
Tutti questi principi sono riassumibili in queste regole:
1. Avere la volontà di progredire qualsiasi siano le difficoltà incontrate
2. Essere gentile con i deboli e duro con i forti
3. Accontentarsi della posizione economica, ma non credere mai che sia al limite dello sviluppo della destrezza
4. Portare sempre a termine ciò che si è iniziato, grande o piccolo che sia
5. Essere il maestro a disposizione di tutti, senza tenere conto della religione, della razza o delle ideologie degli allievi
6. Non cedere mai alle opposizioni o alle minacce quando si sta perseguendo una nobile causa
7. Insegnare l'attitudine e l'abilità, con atti e non con parole
8. Essere sempre sé stesso in qualsiasi circostanza
9. Essere l'eterno maestro, che insegna con il corpo quando è giovane, con le parole quando è vecchio, con i principi morali quando è morto.
Il Taekwondo sportivo
I combattimenti di Taekwondo (stile WTF) si svolgono su un campo quadrato di 10×10 m, tra due atleti muniti di protezioni: il corpetto o corazza, il caschetto, paratibie e para-avambracci, conchiglia, paradenti in gomma (tipo boxe) e guantini. Il combattimento è articolato in tre riprese (o round) da tre minuti ciascuno o da due minuti ciascuno (dipende dal tipo di gara), con una pausa di un minuto. L'atleta per fare punti deve colpire l'avversario sul corpetto con tecniche di calcio e pugno (1 punto), oppure al viso con una tecnica di calcio (2 punti)o (3 punti) se il colpo è ben assestato. Un punto addizionale è assegnato se l'avversario subisce fortemente il colpo, e l'arbitro inizia a contare. Il contatto è pieno e non c'è limite dei colpi finche non si procede ad un attacco falloso o una qualsiasi altra cosa che richieda l'intervento dell'arbitro. Il combattimento può essere vinto ai punti, o per Knock Down. In caso di parità assoluta al termine del terzo round si effettua un 4° round di un minuto in cui vince chi fa il primo punto (Golden Kick). Se al termine della 4a ripresa si è ancora in parità vince chi ottiene la preferenza arbitrale (per superiorità tecnica o altro merito acquisito).
Questa sezione è relativa alle forme del Taekwondo ITF
Il perché delle forme. Nell'antico oriente vigeva una legge molto simile a quella di Hammurabi: Occhio per occhio, dente per dente. Questa legge fu imposta anche quando la morte era accidentale. A causa di essa il combattimento libero non si poté sviluppare e fu proprio allora che l'allievo di arti marziali dovette inventarsi un metodo per provare le sue vere capacità di combattente.
Poiché non poteva combattere con avversari reali cominciò ad inventarsene di immaginari, mettendo in ogni movimento tutta la forza e la convinzione possibile.
La forma è infatti concepita come un combattimento immaginario contro uno o più avversari e serve per migliorare le proprie tecniche.
Con la scissione della federazione internazionale(ITF) le forme sono rimaste pressoché invariate, le differenze fondamentali tra la ITF con a capo il M° Tran Trieu Quan e la ITF con a capo il legittimo successore del fondatore, il Grand Master Choi Jung Hwa sono da ricercare nella variazione dei primi di alcuni movimenti all'interno delle stesse il che ha creato una visione differente delle suddette forme snaturando ciò che il Generale Choi codificò, mentre nel caso della federazione con a capo il figlio del generale sono rimaste integre, senza variazioni di sorta, non avendo la necessità di porre la propria impronta sul lavoro di un illuminato delle arti marziali.
Nel Taekwondo sono presenti 24 forme, come le ore contenute in un giorno.
* Chon-ji (Esame per 8° KUP - Passaggio da cintura bianca con striscia gialla[1] a cintura gialla):
19 Movimenti
Chon-ji:significa letteralmente "il cielo e la terra".E' l'interpretazione orientale della creazione del mondo e delle origini della storia umana,per questo è la prima forma che si impara. La forma è composta da due parti simili:una rappresenta il cielo e una la terra.Il suo diagramma rappresenta una croce,poiché sia la prima sia la seconda parte vanno eseguite nella quattro direzioni.
* Dan-gun (Esame per 7° KUP - Passaggio da cintura gialla a cintura gialla con striscia verde):
21 Movimenti
è il nome del grande Dan-Gun, leggendario fondatore della Corea nel 233 a.C.Finisce con un attacco sinistro perché la leggenda non corrisponde completamente alla realtà (l'attacco sinistro è più debole del destro)
* Do-san (Esame per 6° KUP - Passaggio da cintura gialla con striscia verde a cintura verde):
24 Movimenti
È lo pseudonimo del patriota Ahn Chang Cho (1876-1938):
I 24 movimenti rappresentano i 24 anni che dedicò all' indipendenza e al progresso della Corea.
* Won-hyo (Esame per 5° KUP - Passaggio da cintura verde a cintura verde con striscia blu):
28 Movimenti
Fu il famoso monaco che introdusse il buddismo in corea durante la dinastia Silla nel 686 D.C.
* Yul-Gok (Esame per 4° KUP - Passaggio da cintura verde con striscia blu a cintura blu):
38 Movimenti
È lo pseudonimo del grande filosofo e studioso Yil (1536-1584) soprannominato "il Confucio della Corea".
I 38 movimenti di questa forma si riferiscono al suo luogo di nascita, il 38° parallelo
Il diagramma della forma significa "studioso".
* Joon-Gun (Esame per 3° KUP - Passaggio da cintura blu a cintura blu con striscia rossa):
32 Movimenti
È lo pseudonimo del patriota Ahn Joon Gun, che assassinò Hiro Bumi Hito, il primo governatore generale giapponese della Corea. Hiro Bumi Hito è anche conosciuto come l'uomo che giocò una parte importante nella fusione tra Corea e Giappone. Questa forma è composta da 32 movimenti che rappresentano l'età di Ahn quando fu giustiziato nel 1910 nella prigione di Lui-Shung.
* Toi-Gye (Esame per 2° KUP - Passaggio da cintura blu con striscia rossa a cintura rossa):
37 Movimenti
È lo pseudonimo del noto studioso Yu Hwang (16° secolo), un'autorità del Neoconfucianesimo.
I 37 movimenti di questa forma si riferiscono al 37° parallelo, suo luogo di nascita.
Il diagramma significa "studioso".
* Hwa-Rang[2] (Esame per 1° KUP - Passaggio da cintura rossa a cintura rossa con striscia nera):
29 Movimenti
È il nome del gruppo giovanile "Hwarang", originato durante la dinastia Silla all'inizio del 7° secolo. I 29 movimenti si riferiscono alla ventinovesima divisione di fanteria, all'interno del quale il Taekwondo si sviluppò e maturò.
* Chong-Moo (Esame per 1° DAN - Passaggio da cintura rossa con striscia nera a cintura nera 1° DAN):
30 Movimenti
È il nome dato al grande ammiraglio Yi Soon Sin della dinastia Yi. Egli ha la fama di aver inventato nel 1592 la Kobukson (nave tartaruga), prima nave corazzata che può essere considerata il precursore della nave da battaglia, dotata di corazze e cannoni.
Il fatto che questa forma finisca con un attacco medio di mano sinistra, sta a simboleggiare la morte prematura di Yi Soon Sin, che non ha potuto dimostrare la sua irrefrenabile potenza, dovuta alla sua grande fedeltà al re. (L'attacco di mano sinistra è considerato più debole della mano destra)
* Kwang-Gae (Esame per cintura nera - Passaggio da 1° DAN a 2°DAN)
* Po-Eun (Esame per cintura nera - Passaggio da 1° DAN a 2°DAN)
* Ge-Baek (Esame per cintura nera - Passaggio da 1° DAN a 2°DAN)
1. ^ Nell'esame per passaggio da cintura bianca a cintura bianca con striscia gialla (9° KUP, nota anche come mezza-gialla), non vengono eseguite forme, ma tre sequenze di movimenti denominate Quattro Direzioni dette anche Sacho Jirugi in coreano.
2. ^ Dal nome di questa forma, è stato creato un personaggio dal nome Hwoarang, presente nei videogiochi della saga Tekken (3, 4 e 5) prodotti dalla Namco. I movimenti del personaggio sono del maestro giapponese Hwang Su Il.
Le forme nel Taekwondo WTF
Questa sezione è relativa alle forme del Taekwondo WTF
Agli inizi degli anni '70 l'Associazione Coreana di Taekwondo (KTA) unifica le forme del Taekwondo in 17 Poomse, che vengono ulteriormente riconosciuti dalla Federazione Mondiale di Taekwondo (WTF).
* 1. Il-Jang => Cielo
* 2. Ie-Jang => Lago
* 3. Sam-Jang => Fuoco
* 4. Sa-Jang => Tuono
* 5. Oh-Jang => Vento
* 6. Yuk-Jang => Acqua
* 7. Chil-Jang => Montagna
* 8. Pal-Jang => Terra
* Koryo - Korea - (Passaggio da 1° DAN a 2°DAN)):
E' costituito da 30 sequenze e 45 movimenti
Koryo (Corea) è il nome di una vecchia dinastia coreana. Il popolo del periodo Koryo sconfisse gli aggressori mongoli. Il loro spirito si riflette nei movimenti della poomse Koryo. Ogni movimento di questa forma rappresenta la forza e l’energia spesi per controllare i mongoli.
* Kumgang - Diamante - (Passaggio da 2° DAN a 3°DAN))
* Taebek - Luce - (Passaggio da 3° DAN a 4° DAN))
* Pyongwon - Pianura - (Passaggio da 4° DAN a 5° DAN))
* Sipjin - Dieci - (Passaggio da 5° DAN a 6° DAN))
* Jitae - Terra - (Passaggio da 6° DAN a 7° DAN))
* Chonkwon - Cielo - (Passaggio da 7° DAN a 8° DAN))
* Hansu - Acqua - ( Passaggio da 8° a 9° DAN ))
* Ilyeo - Identità - ( Passaggio da 9° a 10° DAN ))
Il judo
Il Judo (in giapponese: Judo) è un'arte marziale, uno sport e una filosofia giapponese. È anche una disciplina per la formazione dell'individuo nel senso morale e caratteriale. È diventato ufficialmente disciplina olimpica nel 1964, a Tokyo, e ha rappresentato alle Olimpiadi di Atene 2004 il terzo sport più universale, con atleti da 98 paesi.
Descrizione
« Il judo ha la natura dell'acqua che scorre per raggiungere un livello equilibrato. Non ha forma propria, ma prende quella del recipiente che la contiene; è permanente ed eterna come lo spazio ed il tempo,è indomabile e penetra ovunque. Invisibile allo stato di vapore, ha tuttavia la potenza di spaccare la crosta della terra. Solidificata in un ghiacciaio ha la durezza della roccia. Rende innumerevoli servigi e la sua utilità non ha limiti. Eccola, turbinante nelle cascate del Niagara, calma nella superficie di un lago, minacciosa in un torrente o dissetante in una fresca sorgente scoperta in un giorno d'estate. »
(Gunji Koizumi, 8° dan (1886-1964))
Il termine judo è composto da due kanji (caratteri cinesi): (ju, adattabile, flessibile) e ? (do, la via) e significa qualcosa di simile a "Via della flessibilità"; con questo, si cerca di spiegare che il modo per vincere una forza non è opporvisi, bensì il contrario, sfruttandola e dirigendola per il proprio fine. Sotto il peso della neve i rami del salice si flettono in modo da poterla scaricare a terra e riprendere cosi la posizione naturale, al contrario della "robusta" quercia che finirà invece per spezzarsi. Il tema dell'assecondare la forza nemica è fondamentale nella cultura del guerriero samurai, poiché riprende uno dei concetti espressi talvolta nel buddhismo e soprattutto nel classico cinese detto "Libro dei Mutamenti" (Yijing) che afferma che l'universo è regolato da correnti di forza e che occorre incanalarsi in queste correnti applicando la forza minima necessaria ad ottenerne il controllo. Opporvisi invece non porta alcun risultato poiché si resterebbe privi di energia.
Il judo si appoggia su un codice morale instaurato da Jigoro Kano che esalta otto qualità essenziali che il judoista (o judoka) deve sforzarsi di avvicinare durante il suo apprendistato:
L'educazione
Il coraggio
La sincerità
L'onore
La modestia
Il rispetto
Il controllo di sé
L'amicizia
Storia del judo
Il judo trae le sue origini dall'antico jujitsu: il suo fondatore Jigoro Kano studiò e approfondì diverse scuole di jujitsu giungendo ad ottenere il grado di Shihan (maestro) in due di queste, chiamate Tenshin shin'yo (specializzata in Katame waza, ossia lotta corpo a corpo, strangolamenti, leve articolari) e Kito (specializzata in Nage waza, tecniche di atterramento al suolo). Quest'ultima era famosa per praticare lo yoroi gumi uchi (combattimento con l'armatura), una sorta di randori (pratica libera) con tecniche di proiezione, a differenza delle altre scuole che praticavano principalmente i kata (forme preordinate). I suoi studi gli consentirono nel 1882 di fondare una nuova scuola dove insegnare il proprio metodo cui diede il nome di Judo Kodokan.
Il 1853 segna una data storica per il Giappone: il commodoro Perry, della Marina Americana, entra nella baia di Tokyo con una flotta di 4 navi da guerra consegnando allo Shogun un messaggio col quale si chiedevano l'apertura dei porti e trattati commerciali. Lo Shogun, probabilmente intimorito dalla dimostrazione di forza, rimise la decisione nelle mani dell'Imperatore che accettò quanto proposto. Per il Giappone, che fino a quel momento aveva vissuto in completo isolamento dal resto del mondo, inizia l'era moderna. La definitiva caduta dell'ultimo Shogun avvenuta nel 1867 ripristinò definitivamente il potere imperiale che, a segno di una definitiva uscita del Giappone dal periodo feudale, promulgò nel 1876 un editto col quale si proibiva il porto delle spade, decretando la scomparsa della classe sociale dei samurai, che avevano dominato per quasi mille anni.
Vi furono importanti cambiamenti culturali nella vita dei giapponesi dovuti all'assorbimento della mentalità occidentale e naturalmente ciò provocò un rigetto per tutto ciò che apparteneva al passato, compresa la cultura guerriera che tanto aveva condizionato la vita del popolo durante il periodo feudale. Il jujitsu, facente parte di questa cultura, da nobile che era scomparve quasi del tutto. Le antiche arti del combattimento tradizionale vengono ignorate anche a causa della diffusione delle armi da fuoco ed i numerosi dojo allora esistenti furono costretti a chiudere per mancanza di allievi; i pochi rimasti erano frequentati da ex guerrieri dediti a combattere per denaro e spesso coinvolti in crimini. Questo influenzò ulteriormente il giudizio negativo del popolo nei confronti del jujitsu nel quale vedeva un'espressione di violenza e sopraffazione.
È in questo contesto di cose che si inserisce la figura di Jigoro Kano: egli, professore universitario di Inglese ed economia, dotato di notevoli capacità pedagogiche, intuì l'importanza che potevano avere lo sviluppo fisico e la capacità nel combattimento se venivano usate proficuamente per lo sviluppo intellettuale dei giovani.
Per prima cosa eliminò tutte le azioni di attacco armato e non che potevano portare al ferimento a volte anche grave degli allievi: queste tecniche furono ordinate nei kata, in modo che si potesse praticarle senza pericoli. Poi studiò e approfondì il nage waza appreso alla scuola Kito, formando così un sistema di combattimento efficace e gratificante. Ma la vera evoluzione rispetto al jujitsu si ebbe con la formulazione dei principi fondamentali che regolavano la nuova disciplina: Seiryoku zen'yo (il miglior impiego dell'energia fisica e mentale) e Jita kyo'ei (tutti insieme per progredire). L'uomo migliora sé stesso attraverso la pratica del judo e contribuisce al miglioramento della società, e questo è possibile solo con la partecipazione intelligente di tutti. Lo scopo finale del jujitsu era il raggiungimento della massima abilità nel combattimento; nel judo l'abilità è il mezzo per giungere alla condizione mentale del "miglior impiego dell'energia".
Ciò significa impiegare proficuamente le proprie risorse,il proprio tempo, il lavoro, lo studio, le amicizie, ecc., allo scopo di migliorarsi continuamente nella propria vita e nelle relazioni con gli altri, conformando cioè la propria vita al compimento del principio del "miglior impiego dell'energia". Si stabilì cosi l'alto valore educativo della disciplina del judo, unita alla sua efficacia nel caso venisse impiegato per difendersi dalle aggressioni.
Il judo mira a compiere la sintesi tra le due tipiche espressioni della cultura giapponese antica e cioè Bun-bu, la penna e la spada, la virtù civile e la virtù guerriera: ciò si attua attraverso la pratica delle tre discipline racchiuse nel judo, chiamate rentai (cultura fisica), shobu (arti guerriere), sushin (coltivazione intellettuale).
Il judo conobbe una straordinaria diffusione in Giappone, tanto che non esisteva una sola città che non avesse almeno un dojo, e parallelamente si diffuse nel resto del mondo grazie a coloro che viaggiando per il Giappone (principalmente commercianti e militari) lo appresero reimportandolo nel loro paese d'origine. Non meno importante fu la venuta in Europa intorno al 1915 di importanti maestri giapponesi, allievi diretti di Jigoro Kano, che diedero ulteriore impulso allo sviluppo del judo, tra cui Koizumi in Inghilterra e Kawaishi in Francia.
Jigoro Kano morì nel 1938, in un periodo in cui purtroppo il Giappone, mosso da una nuova spinta imperialista, si stava avviando verso la seconda guerra mondiale. Dopo la disfatta, la nazione venne posta sotto il controllo degli USA per dieci anni e il judo fu sottoposto ad una pesante censura poiché catalogato tra gli aspetti pericolosi della cultura giapponese che spesso esaltava la guerra.
Fu perciò proibita la pratica della disciplina ed i numerosi libri e filmati sull'argomento vennero in gran parte distrutti. Il judo venne poi "riabilitato" grazie al CIO (comitato olimpico internazionale) di cui Jigoro Kano fece parte quale delegato per il Giappone, e ridotto a semplice disciplina di lotta sportiva ma i suoi valori più profondi sono ancora presenti e facilmente avvertibili dai partecipanti.
Principali date di sviluppo del Judo
1860 nascita di Jigoro Kano (morto nel 1938)
1882 fondazione del Kodokan
1886 prime elaborazioni di kata
1895 formulazione del Go-kyo
1921 nuova formulazione del Go-kyo, lo stesso dell'attuale
1922 il Judo viene dichiarato completo nei suoi mezzi e nei suoi fini
1922 il Kodokan diviene società pubblica. Fondazione della Società Culturale del Kodokan
1934 primi campionati del Giappone
1948 prima federazione Europea
1951 prima federazione Internazionale
1956 primi Campionati Mondiali
1964 ammissione ai giochi Olimpici (maschile)
1988 ammissione delle donne alle Olimpiadi (sport dimostrativo)
1992 ammissione definitiva delle donne alle Olimpiadi
Ai giorni nostri
A partire dal dopoguerra, con l'organizzazione dei primi Campionati Internazionali e Mondiali, e successivamente con l'adesione alle Olimpiadi, il judo si è sempre più identificato come sport da combattimento, mutuandone le caratteristiche di agonismo che provenivano dalle discipline di lotta occidentali.
Si è perciò cominciato a privilegiare la ricerca del vantaggio minimo che permette di vincere la gara, a discapito del gesto tecnico più spettacolare ma più rischioso.
L'entrata in scena, avvenuta negli anni ottanta, degli atleti dell'ex URSS, aventi una lunga tradizione di lotta sambo alle spalle, non ha che aumentato questo fenomeno. Oggi si assiste a numerose tecniche derivate dalla lotta libera che per efficacia in gara si contrappongono alle tecniche tradizionali del judo. In conseguenza di ciò, si è sviluppata la tendenza a privilegiare un tipo di insegnamento che metta in condizioni gli allievi di guadagnare da subito punti in gara, punti che vengono utilizzati per determinare il passaggio di cintura, tralasciando l'aspetto educativo della disciplina. Allo scopo di riaffermarne il valore, si sono costituite nel tempo Federazioni Sportive anche di carattere internazionale che tendono a far rivivere i principi espressi dal Maestro Jigoro Kano, quantunque anch'esse si dedichino all'attività agonistica. Queste Federazioni sono riunite all'interno di Enti di Promozione Sportiva riconosciuti dal CONI, quali ,UISP, CSEN, ACSI, ed altre. In Italia la federazione ufficiale appartenente al CONI è la FIJLKAM,Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali.
Questo non significa però che vi siano due tipi di scuole o che una sia meglio dell'altra: come ebbe a dire lo stesso Jigoro Kano (Yuko no Katsudo, rivista edita in Giappone,1925) "anche nel periodo antico esistevano Maestri che impartivano nozioni di tipo etico oltre che tecnico: si trattava di esempi illuminati ma che, tenendo fede al loro impegno di Maestri, dovevano necessariamente privilegiare la tecnica. Nel judo invece gli insegnanti devono percepire la disciplina soprattutto come educazione, fisica e mentale". A tutt'oggi, il monito del fondatore appare più che mai azzeccato, dovendosi necessariamente affidare (o affidare i propri figli) a dei maestri che a volte perdono di vista la loro funzione di educatori privilegiando il risultato sportivo. Jigoro Kano aggiungeva inoltre che "per coloro che si dimostrassero particolarmente portati alla competizione è lecito interpretare sportivamente la disciplina, purché non si dimentichi che l'obiettivo finale è ben più ampio". Nella scelta di un dojo meglio quindi affidarsi a maestri di provata esperienza che tengano corsi per tutti, non solo per l'agonista, e questo può avvenire tanto in ambito Federale quanto in quello Promozionale dove a volte, per dimostrare di non essere da meno, ci si impegna eccessivamente nelle gare.
Le tecniche
Lo scopo delle tecniche utilizzate nel judo è sbilanciare l'avversario per farlo cadere al suolo: ciò è chiamato Nage waza (tecniche di proiezione). L'apprendimento è strutturato secondo un sistema chiamato Go kyo che ordina 40 tecniche in 5 classi in base alla difficoltà di esecuzione e alla violenza della caduta. L'arte di proiettare l'avversario al suolo dalla posizione eretta è definita Tachi waza e si suddivide in tre categorie:
tecniche di braccia: te waza
tecniche di anca: koshi waza
tecniche di gambe: ashi waza
Abbiamo poi le cosiddette tecniche di sacrificio: sutemi waza, dove il praticante accetta di perdere il suo equilibrio per fare cadere il suo avversario. Queste a loro volta sono suddivise in:
sacrificio sul dorso: ma sutemi waza
sacrificio sul fianco: yoko sutemi waza
L'ultimo gruppo di tecniche è chiamato Atemi waza,o l'arte di colpire l'avversario e si divide in:
attacchi con gli arti superiori: ude ate
attacchi con gli arti inferiori: ashi ate
La pratica di queste tecniche è effettuata nei Kata (forme preordinate) e comprende anche tecniche basilari di attacco-difesa da coltello, bastone, spada e pistola. Una volta l'avversario a terra, si può applicare una tecnica di immobilizzazione, osae-komi waza, di strangolamento, shime waza, o una leva, kansetsu waza. La lotta a terra viene chiamata Ne waza.
Happo-no-kuzushi
Il termine significa "le 8 direzioni di squilibrio" nelle quali il baricentro del corpo dell' avversario è spostato rispetto alla posizione naturale. Sono disposte idealmente a mò di rosa dei venti, ossia verso l' avanti, indietro, laterale e le due diagonali.
Tsukuri e Kake
La possibilità di poter eseguire con successo una tecnica di proiezione è fondata sull' ottenimento di uno squilibrio dell'avversario mediante azioni di spinta, trazione, prese sulla giacca, azioni che devono essere sempre ben calibrate e mai eccessive, per non dare la possibilità all' avversario di poterne approfittare. Far perdere la posizione o l' equilibrio, ottenendo cioè una delle 8 situazioni descritte, è denominato Tsukuri, ovvero "costruzione, preparazione". Solo dopo che tramite azioni di tsukuri si è riusciti a pervenire ad un kuzushi è possibile attaccare l' avversario con una tecnica efficace e idonea all'opportunità creatasi. Tale operazione è chiamata Kake o "applicazione".
Principi di esecuzione delle tecniche
SEN, l'iniziativa
GO NO SEN, il contrasto dell'iniziativa
SEN NO SEN, l'iniziativa sull'iniziativa
Il principio SEN è tutto ciò che riguarda l'attaccare un avversario (kake) mediante tecniche dirette o concatenate (renraku waza,successione).
SEN si applica in primo luogo tramite azioni di tsukuri mirate a sviluppare l'azione mantenendo l'iniziativa, continuando ad incalzare l'avversario con attacchi continui atti a portare l'avversario in una posizione vulnerabile che permetta di attaccarlo con la tecnica preferita (tokui waza)
Il principio GO NO SEN si attua con l'uso dei bogyo waza (tecniche di difesa). Dette tecniche, applicabili subendo un attacco per contrastarlo, vengono suddivise in CHOWA (schivare), GO (bloccare), YAWARA (assecondare).
Scopo delle tecniche di difesa è recuperare una posizione che permetta di controllare la situazione o di condurre un attacco.
Il principio SEN NO SEN riguarda la controffensiva che tori (colui che agisce) sviluppa nell'istante in cui sta per partire l'attacco avversario.Dal momento che uke (colui che subisce) si trova seppur involontariamente in una posizione di precario equilibrio a causa del suo tentativo di tsukuri, occorre anticiparlo prima del suo kake.
L'assidua pratica nel randori (combattimento libero) è fondamentale per sviluppare la capacità di percezione delle azioni dell'avversario. Tale principio realizza il KAESHI , espressione di un modo evoluto di condurre il combattimento in cui si lascia volutamente l'iniziativa all'avversario ma sempre controllando le sue azioni fino a cogliere l'attimo in cui applicare la controtecnica.
Bloccare, schivare o assecondare un attacco, cioè utilizzare una tecnica di difesa, può metterci nella condizione di poter condurre con successo un nuovo attacco nei confronti dell'avversario, ma è solamente anticipando l'azione nemica che si realizza correttamente un kaeshi.
Negli altri casi, è più corretto parlare di contrattacco (giaku geki) piuttosto che di controtecnica (kaeshi waza), quantunque a scopo didattico si preferisca utilizzare sempre il termine kaeshi riferendosi alle azioni di attacco-difesa, allo scopo di non generare confusione negli allievi introducendo un concetto di dubbia comprensione.
In altre parole, si ha un kaeshi quando ad un attacco dell'avversario corrisponde un attacco immediato che lo sovrasta, mentre un contrattacco prevede l'utilizzo di una difesa (chowa, go, yawara) prima di eseguire la tecnica voluta.Per quanto veloce possa essere l'esecuzione, c'è sempre un attimo di rottura nell'azione: nel caso del kaeshi, questa rottura non esiste perché la controtecnica anticipa l'azione dell'avversario prima che questi abbia potuto dispiegare per intero il proprio attacco.
I Kata
Il judo non è solo tecniche di proiezioni, di immobilizzazioni, di leve e di strangolamenti ma, come numerose altre arti marziali, comprende un insieme di kata. I più conosciuti di essi sono:
Nage-no-kata (forma delle proiezioni) composto di 5 gruppi (te-waza, koshi-waza, ashi-waza, mae-sutemi-waza, yoko-sutemi-waza)
Katame-no-kata (forma dei controlli) composto di 3 gruppi (osae-komi-waza, shime-waza, kansetsu-waza).
Kime-no-kata (forma della decisione anticamente chiamato Shobu (arti guerriere), tecniche di combattimento reale)
Ju-no-kata (forma dell'adattabilità alla forza nemica)
Kodokan Goshin-jutsu (forma di autodifesa - formato nel 1956 ad integrazione del precedente Kime no kata)
Koshiki-no-kata (forma antica-riprende le forme della scuola Kito di jujutsu)
Itsutsu-no-kata (forma dei cinque elementi naturali)
Altri Kata meno noti sono:
Go-no-kata (il primo kata adottato dal judo caduto in disuso dopo la morte di Jigoro Kano)
Seiryoku-zen'yo kokumin-taiiku-no-kata(forma della ginnastica nazionale del miglior impiego dell'energia).
Gonosen-no-kata (forma dei contrattacchi - non è riconosciuto ufficialmente dal Kodokan di Tokio in quanto creato da Mikonosuke Kawaishi, insegnante di Judo in Francia in netto contrasto con il Kodokan di Tokyo).
L'insieme di Nage no kata e katame no kata viene anche definito Randori no kata poiché sono le tecniche applicate nel randori, dal quale sono esclusi gli atemi (colpire di pugno e calci)
Questi kata rappresentano degli esercizi di tecnica, di concentrazione particolarmente difficile e costituiscono la sorgente stessa dei principi del Judo. La buona esecuzione di questi kata necessita di lunghi anni di pratica per permettere al judoka di afferrarne il senso profondo.
Il Dojo
Il luogo dove si pratica il judo si chiama dojo che significa "luogo di studio della via", parola usata anche nel buddismo ad indicare il monastero e ciò deve rappresentare un monito: il dojo è un luogo sacro da cui sono banditi comportamenti chiassosi e maleducati. Qui il Judo viene praticato su un materassino chiamato tatami. Anticamente in Giappone era fatto di paglia di riso, oggi si usano materiali sintetici purché sufficientemente rigidi da potervi camminare sopra senza sprofondare ed elastici per poter cadere senza farsi male.Per non farsi male è usata l'arte del battere la mano, che consiste nel battere la mano libera dopo essere stati proiettati.Per proiettare si intende cadere in seguito ad una tecnica dell'avversario.
Il tatami utilizzato nelle competizioni deve avere le misure minime di m 14 × 14 e massime di m 16 × 16. Al centro vi è l'area di combattimento di dimensioni minime di m 8 × 8 e massime di m 10 × 10; delimitata da una bordatura rossa di circa un metro di lunghezza.
Dal 2006, in via sperimentale, l'European Judo Union ha deciso di abolire la bordatura rossa, e di sostituirla con una bordatura gialla.
L'abbigliamento
I Judoka portano una tenuta chiamata Judogi composta da pantaloni di cotone bianco rinforzato (zubon ) e una giacca bianca di cotone rinforzato (uwagi ) tenuti insieme da una cintura colorata (obi). Dal colore della cintura si può riconoscere il grado e l'esperienza di un Judoka.In gara i contendenti indossano una cintura bianca o rossa da sola o in aggiunta alla propria cintura allo scopo di distinguerli e attribuire i punteggi conquistati in gara. Nei tornei e campionati internazionali ed olimpici uno dei due indossa un judogi di colore blu, per essere meglio distinguibili non tanto dall'arbitro quanto dal pubblico, specialmente televisivo.
I gradi delle cinture
I gradi sono attribuiti ad un praticante e permettono di valutare il suo livello tecnico, la sua efficacia in combattimento, il suo grado di anzianità così come le sue qualità morali, ciò che corrisponde al rispetto scrupoloso del codice morale così come un'applicazione sufficiente nella pratica.
La classificazione prevede una prima divisione tra Mudansha (non aventi alcun dan) e Yudansha (portatori di grado dan). Le cinture sono state introdotte essenzialmente dagli occidentali per riflettere il grado. Si trovano nell'ordine la cinture bianca, gialla, arancione, verde, blu, marrone e la famosa cintura nera. Esistono anche le "mezze-cinture", utilizzate in Italia per i giovani judoisti per segnare la progressione tra due cinture: bianco-gialla, gialla-arancione, arancio-verde, verde-blu e la blu-marrone.La cintura nera può essere tutta nera nel caso in cui appartenga ad un sensei uomo, e può essere nera con una striscia bianca nel mezzo che percorre tutta la cintura nel caso in cui appartenga ad un sensei donna.
Le cinture di colore dal bianco al marrone corrispondono alle classi, chiamate kyu: il 6° kyu è rappresentato dalla cintura bianca fino al primo kyu per la cintura marrone.
Esistono al di sopra dei kyu altri gradi chiamati dan: dal I dan al v dan, la cintura è nera; dal VI dan al VII dan è rappresentato da una cintura a bande rosse e bianche alternate, IX ,X e XI dan la cintura è Rossa, il XII è rappresentato da una cintura bianca più fine e larga (il motivo di tale scelta è l'idea di congiunzione che si vuole dare fra il massimo livello che si può raggiungere e quello più basso). Il II e III dan corrispondono al nome giapponese di Deshi (discepolo), il IV e V dan a Renshi (padronanza esterna), il VI e VII dan a Kyoshi (padronanza interiore), il VIII e IX dan a Hanshi (padronanza interiore ed esterna unificata) ed il X dan a Keijin (tesoro vivente). Inoltre il maestro Jigoro Kano, stabilì la possibilità di progredire oltre il X dan istituendo l'XI e il XII dan per coloro che trascendessero anche questo obiettivo, ma nessuno riuscì mai a raggiungerlo.
In Italia, i gradi inferiori alla cintura nera sono rilasciati in seguito ad un passaggio di cintura organizzati dal club. Per ottenere i differenti gradi dan di cintura nera si sostengono degli esami di tecnica, teoria e kata davanti ad una giuria regionale, fino al 3° dan, e nazionale per conseguire il 4° 5° e recentemente, anche il 6° dan, oppure guadagnando dei punti durante combattimenti ufficiali in campionati e trofei, fino al 2° dan. Successivamente al 6° dan, in Italia, i gradi vengono conferiti, per meriti federali.
Allievi (Kyu)
6. Kyu Rokyu (bianca)
5. Kyu Gokyu (gialla)
4. Kyu Yonkyu (arancione)
3. Kyu Sankyu (verde)
2. Kyu Nikyu (blu)
1. Kyu Ikkyu (marrone)
Gradi superiori (Dan)
1. Dan Shodan (nera)
2. Dan Nidan (nera)
3. Dan Sandan (nera)
4. Dan Yodan (nera)
5. Dan Godan (nera)
6. Dan Rokudan (bianca-rossa)
7. Dan Nanadan (bianca-rossa)
8. Dan Hachidan (bianca-rossa)
9. Dan Kudan (rossa)
10. Dan Judan (rossa)
In alcuni dojo, specialmente quelli giapponesi, si utilizzano solo due cinture per i kyu : la bianca, per gli allievi dal sesto al quarto kyu, la marrone per gli allievi dal terzo al primo kyu.
Le cadute (ukemi)
È molto importante per un judoka saper cadere senza farsi male; queste sono le prime nozioni che vengono insegnate. Esistono quattro diversi tipi di cadute:
Mae ukemi oppure "Zem Poke temo Ukemi" - caduta in avanti frontale
Mae mawari ukemi oppure "Zem Po Kai Ten Ukemi" caduta in avanti con rotolamento suddivisa in Migi (destra) e Hidari (sinistra).
Ushiro ukemi oppure "Ko Ho Ukemi" - caduta indietro
Yoko ukemi oppure "Soku Ho Ukemi" - caduta laterale anch'essa divisa in Migi e Hidari.
Il judo moderno interpreta la caduta come una sconfitta: in realtà si tratta di una vera e propria tecnica per consentire al corpo di scaricare l'energia cinetica accumulata durante la proiezione. Se male eseguita, possono verificarsi infortuni quali lussazione della spalla, urti del capo a terra, danni ai piedi ecc.
Il Judo in Italia
Cenni storici
Le prime testimonianze si riferiscono ad un gruppo di militari appartenenti alla nostra Marina i quali nel 1905 tennero una dimostrazione di "lotta giapponese" (cosi veniva definito il judo) davanti all'allora re d'Italia Vittorio Emanuele III.
Gli ufficiali Moscardelli e Piazzolla, in servizio a Yokohama in Giappone ottennero, secondo quanto contenuto negli archivi della Marina, il 1° dan di judo nel 1889, a pochi anni di distanza dalla fondazione del Kodokan.
Bisognerà però aspettare altri 15 anni perché si incominci a parlare di judo, grazie all'opera di un altro marinaio, Carlo Oletti, che diresse i corsi di judo per l'esercito che erano stati istituiti nel 1920.
Fino al 1924 il judo resterà confinato nell'ambito militare, allorquando fu costituita la FILG, Federazione Italiana lotta giapponese, assorbita poi nel '31 dalla FIAP, Federazione Italiana atletica pesante, e quindi nel '74 dalla FILPJ, Federazione Italiana lotta pesi judo, che a sua volta, inglobando anche il karate, cambierà denominazione in FILPJK nel 1995; infine nel luglio del 2000 l'Assemblea nazionale decide di scindere la federazione in FIJLKAM, Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali, e FIPCF ,Federazione Italiana Pesistica e Cultura Fisica.
Particolare merito spetta, per la divulgazione in Italia del Judo e alla sua organizzazione federale, dapprima al Maestro Emerito Tommaso Betti Berutto, padre di tutti i judoka italiani e al suo libro "da cintura bianca a cintura nera" e all'Avv. Augusto Ceracchini, pioniere della disciplina, per cinque volte campione d'Italia, grande organizzatore ed uomo dotato di eccezionale carisma. A lui, scomparso prematuramente si deve l'Istituzione, negli anni 70, dell'Accademia Nazionale Italiana judo, per la formazione degli insegnanti tecnici.
Fonti : voce "judo" da wikipedia
L'arte del karate
Karate
Karate (dal giapponese "mano vuota" o "senza armi in mano") è un'arte marziale la cui storia risale almeno al 14° secolo ad Okinawa (la prefettura più meridionale del Giappone, composta da un folto gruppo di isole, le Ryu Kyu), dove le tradizioni indigene del posto (Tōde) mescolate con quelle cinesi (Shaolin Quanfa) ed alcune influenze giapponesi (Yawara / Koryu Ju Jitsu / Bujutsu) si fusero insieme. All'inizio del 20 ° secolo, ha trovato la sua strada in Giappone e dopo la Seconda Guerra Mondiale si espanse da li in tutto il mondo.
Le tecniche del karate vengono sostanzialmente caratterizzate attraverso tecniche senza armi, in particolare da colpi di pugno e calcio, da tecniche di bloccaggio e spazzate. Vengono anche insegnate leve e proiezioni e nello studio più avanzato anche strangolamenti e colpi ai punti nervosi del corpo umano (punti di pressione o kyusho) e tecniche di difesa o di applicazioni supportate da armi del Kobudo (bastone, sai, nunchaku ... armi prese da una realtà contadina).
Nel karate viene dato molto valore alla condizione fisica del praticante, in particolare allo sviluppo dell'agilità, della forza e della resistenza aerobica. Il rafforzamento degli arti, che tra gli altri ha come obiettivo la prova della rottura (giap. Tamashiwari), resa nota dai film e dalla televisione colpendo assi o mattoni nel tentativo di romperli, è diventata un'attività meno popolare, ma ancora praticata da diverse persone.
Nel karate moderno l’allenamento è spesso più orientato alla pratica sportiva, questo comporta che viene data una grande importanza alla pratica agonistica ed alle gare. In quest’ottica l’apprendimento di tecniche efficaci in ambito di difesa personale ne soffre un po’, tecniche che invece appartengono allo studio tradizionale del karate. Un'altra lacuna è che nel karate sportivo ci si prepara principalmente ai programmi d’esame ed alle competizioni. Per questo motivo, solo le tecniche necessarie al passaggio dell’esame o per segnare un rapido punto in gara vengono intensamente praticate ed interiorizzate. In merito a ciò alcuni grandi maestri di karate tradizionale indicano il rischio che così facendo il karate divenga mutilato e modificato, in quanto molte delle tecniche non sono più conosciute e non più insegnate dagli allenatori.
"Karate non è un gioco. Non è uno sport. Non è nemmeno una tecnica di difesa personale. Karate è per metà una disciplina fisica, l'altra metà spirituale. Il Karateka, che ha alle spalle gli anni di esercizio e la meditazione richiesta, è un uomo sereno e pacifico. Egli non ha alcun timore. Nel mezzo di una casa in fiamme egli resta calmo. "(Oyama Masutatsu)
Nome
Karatedo (dal giapponese "la via della mano vuota"), veniva conosciuto in precedenza solo come Karate ed anche oggi è conosciuto maggiormente sotto questo nome. L'aggiunta del "do" viene utilizzata per evidenziare lo sfondo filosofico dell'arte ed il suo significato di "Via". Curiosità: fino agli anni 30 il significato letterale di karate era "mano cinese", indicando anche le origini cinesi di quest'arte. Solo in seguito, per questioni politiche (nazionalismo giapponese), venne trasformato il modo di scrivere karate dando l'attuale significato di "mano vuota".
Origini del karate
La leggenda narra che nel 6 ° secolo il monaco buddista Daruma Taishi (Bodhidharma) da Kanchipuram (India del Sud) raggiunse il Monastero Shaolin (giapponese Shorinji) e li non solo fondò il buddismo Ch'an (Zen), ma addestrò anche i monaci con esercizi fisici, in modo che fossero in grado di resistere i lunghi periodi di meditazione. Così nacque lo Shaolin Kungfu (corretto: Shaolin-Quanfa, giapponese Kempo / Kenpo) dal quale si svilupparono molti altri stili di arti marziali cinesi (Wushu).
Visto che il Karate trae le sue radici da quelle cinesi, si considera discendente di quella tradizione (Chan, Bodhidharma, Shaolin), la cui storicità è al buio e controversa fra gli storici. Tuttavia, il ritratto di Daruma adorna molti Dojo.
Nella sua forma attuale il karate si sviluppa presso le isole Ryukyu, in particolare sull'isola di Okinawa, che nel 14° secolo rappresentava un punto nevralgico tra lo scambio di merci e culturale con il Giappone, Cina, Corea ed Asia Mediorientale. A quel tempo l'attuale re, Sho Shin, per mantenere l'ordine tra la popolazione vietò l'uso delle armi e fu così che iniziò a svilupparsi l'arte del combattere senza armi di Okinawa, l' "Okinawa-te".
Nel 16° secolo gli Shimazu occuparono l'arcipelago ed intensificarono il divieto di portare armi, vietando anche il semplice possesso, bandendo coltelli ed armi cerimoniali di qualsiasi tipo. Ovviamente i samurai erano liberi di compiere ogni tipo di sopruso nei confronti dei contadini, e mancando qualsiasi tipo di istituzione a difesa della popolazione, nasce più che mai l'esigenza di difendersi e fonda il sottile ed intensivo cambiamento del "Te" (= sistema di combattimento) in "Karate" (arte del combattimento).
Nel frattempo, quasi a pari passo, i contadini svilupparono l'arte del Kobudo, ovvero tecniche che sfruttano gli strumenti di lavoro contadino. Comunque rimaneva difficile affrontare un guerriero ben preparato ed armato utilizzando solo queste tecniche, ed è per questo che il tutto si raffinò andando a sviluppare solo le tecniche più efficaci e quelle che potevano uccidere l'avversario con un solo colpo (conosciute nel Karate come Ikken hissatsu).
Vista l'efficacia di quest'arte, anche l'insegnamento venne vietato alla popolazione, pertanto la sua pratica rimase privilegio di poche famiglie e veniva fatta solo di nascosto. La capacità di scrittura era limitatamente diffusa tra la popolazione e quindi le conoscenze venivano tramandate solo in via diretta od orale, per questo i maestri raggrupparono le tecniche da insegnare in unità didattiche tra loro collegate ed in sequenze prefissate, costituendo delle forme. Queste sequenze vengono definite "Kata".
Per tenere segreto l'insegnamento contenuto in queste forme, le sequenze dovevano risultare "cifrate" agli occhi dei non iniziati alla scuola dell'arte del combattimento. Per questo scopo venivano utilizzate come chiavi di cifratura le danze locali (odori) ed ancora oggi molti kata contengono un forte diagramma di passi (Embusen). Solo dopo intenso studio dei kata se ne può capire il reale significato e cosa si voleva trasmettere con questi.
Solo dopo il 1875, quando Okinawa venne ufficialmente riconosciuta come prefettura giapponese, il karate iniziò ad emergere dalla segretezza. In particolare un maestro, Gichin Funakoshi, ebbe un ruolo molto importane, sia per la diffusione dello stile che per sistematizzazione del Karate. Capì che oltre al rafforzamento del corpo, poteva servire anche come mezzo per formare il carattere.
Video tratto da History Channel - in lingua inglese. Seikichi Higa Sensei spiega l'importanza dei blocchi come attacco
e la rotazione nei pugni
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Altro video tratto da History Channel - in lingua inglese. Mostra la metodologia di allenamento del Sensei Higaonna
Le posizioni di base nel karate Kyokushin
Fonti: wikipedia
Bruce lee: il successo cinematografico
Arrivò come star nel film Dalla Cina con furore (Fist of Fury, 1972), che fu un altro grandissimo successo.
Fondò poi una propria casa di produzione: la Concord Production, al 50% col boss della Golden Harvest Raymond Chow. Sotto tale egida co-produsse, scrisse, diresse e interpretò L'urlo di Chen terrorizza anche l'occidente (The Way of the Dragon, 1972). Nell'Urlo di Chen terrorizza anche l'Occidente, Lee introdusse Chuck Norris come suo rivale, nella scena dello scontro finale nel Colosseo. In realtà Lee e Norris avevano già lavorato assieme qualche anno prima ad Hollywood, sul set del film Missione compiuta... (The wrecking Crew, 1969), il primo come "Karate Advisor" ed il secondo come stuntman. Il loro duello nel Colosseo divenne il combattimento di arti marziali più celebre nella storia del cinema, richiese tre giorni di riprese e venti pagine di minuziose descrizioni in sceneggiatura. Fu filmato in esterni al Colosseo, ma il duello vero e proprio venne realizzato negli studi Golden Harvest in Hong Kong.
Verso la fine del '72, mentre stava già lavorando al progetto di 'The game of death', la Warner gli offrì il ruolo di protagonista in I tre dell'Operazione Drago, (Enter the Dragon, 1973). Era l'occasione che Lee attendeva da sempre, il poter diventare una stella a livello mondiale. Questo sarebbe, e fu il film, che lo consacrò come divo internazionale. Ne fu non solo protagonista, ma coreografo di tutti i combattimenti e coproduttore con la sua Concord Production. Sfortunatamente, il destino pose fine alla giovane vita di Lee appena qualche mese dopo la fine delle riprese, circa un mese prima che il film fosse distribuito nelle sale. Data fissata per la prima U.S.A. l'agosto '73. Stando alle dichiarazioni di Linda Lee, inserite nei contenuti speciali del DVD, sul set de I tre dell'Operazione Drago, Lee, fu sfidato numerose volte da uno stuntman, che cercava di farsi un nome su di lui. Batté facilmente l'avversario e da allora il tipo non infastidì più Bruce.
I tre dell'Operazione Drago divenne uno dei più importanti film dell'anno, fu il secondo maggior incasso della Warner Bros. dopo L'Esorcista, e consolidò l'immagine di Bruce Lee come leggenda delle arti marziali. Costò solo 850.000 dollari nel 1973, un budget ridicolo per gli standard americani: tenendo conto dell'inflazione, circa 3,74 milioni di dollari attuali.[9] Incasso oltre 8 milioni di dollari in prima edizione, e tra riedizioni in tutto il mondo si calcola abbia incassato, ad oggi, circa 100 milioni di dollari. Sancì l'apice della moda delle arti marziali, lanciata pochi mesi prima dal successo di 5 dita di violenza (King Boxer, con la star di Hong Kong Lo Lieh); moda che avrebbe portato nel 1975 al successo della canzone pop Kung Fu Fighting cantata da Carl Douglas. I tre dell'Operazione Drago, partito come semplice "istant-movie" per sfruttare la moda del kung-fu, ha dimostrato una reputazione duratura ed è cresciuto negli anni come massimo esempio del genere anni '70, al punto che il Los Angeles Times (che lo aveva stroncato all'epoca) lo rivalutò definendolo nel 1993 "Il Via col vento del genere kung-fu".
Forte quindi di questa fama aquisita in tutto il mondo, vuole dirigere un film molto personale, che vuole scrivere, dirigere ed interpretare,a riesce a girare solo 36 minuti e 40 secondi: il 20 luglio 1973 Bruce Lee muore, ed il progetto sembra destinato ad essere dimenticato.
Nel 1978, a cinque anni dalla morte di Lee, la richiesta per i film di arti marziali è sempre più pressante. La casa distributrice Golden Harvest, che detiene i diritti dei film di Bruce Lee, decide così di utilizzare il progetto Game of Death, anche se incompiuto.Chiama il regista statunitense Robert Clouse, che già aveva lavorato con Lee in I tre dell'Operazione Drago, e gli chiede di dirigere un film basato su una sceneggiatura improvvisata, costruita appositamente intorno ai pochi minuti di materiale utilizzabile girato da Lee in vita. Per i combattimenti viene chiamato un astro nascente del cinema di Hong Kong: Sammo Hung. Questi porta con sé i suoi stuntman di comprovata qualità (Yuen Biao, Yuen Wah, Mars, ecc.) e coreografa i combattimenti del film (partecipandovi anche in uno di persona).
Nasce così il film "Game of Death", che usa in modo improprio il titolo che Lee aveva dato al proprio progetto. In Italia viene chiamato L'ultimo combattimento di Chen, riferendosi al nome del protagonista di Dalla Cina con furore.
A film finito, in soli 11 minuti e 39 secondi è presente il vero Bruce Lee, in quelle poche scene girate nella pagoda. In tutto il resto della pellicola si alternano vari "sosia", si usa materiale scartato da vecchi film e si mettono in atto vari trucchi visivi per far finta che Lee abbia veramente partecipato alle riprese.
La riscoperta
Negli anni si era persa memoria del girato originale di Bruce Lee, e si credeva che ormai rimanessero solo quei pochi minuti inseriti nel film di Clouse. Ma si vociferava che esistessero ancora le pellicole originali.
Nel 1994, Linda Lee Cadwell (vedova di Bruce) chiede al giornalista e documentarista John Little di aiutarla a sistemare alcuni materiali originali di Lee nel suo ripostiglio di Boise, nell'Idaho. Qui Little fa una scoperta incredibile: in un cassetto trova la sceneggiatura originale di Game of Death scritta da Lee, con relative note per inquadrature e coreografie. Spinto da questa fortuna inaspettata, Little vola ad Hong Kong ed insieme al giornalista britannico Bey Logan comincia a setacciare i vecchi magazzini della casa distributrice Golden Harvest.
Passano 6 anni, ma la ricerca ha successo: vengono ritrovate le pellicole originali di Game of Death, girate da Lee pochi mesi prima di morire.
Nel 2000 John Little firma il documentario Bruce Lee - La leggenda (Bruce Lee: A Warrior's Journey), dove per la prima volta dal 1972 vengono riproposti in versione integrale i 36 minuti e 40 secondi di girato di Lee, insieme ad interviste dei protagonisti dell'epoca.
Fonti : youtube e wikipedia
sabato 20 febbraio 2010
IL JEET KUNE DO - L'ARTE DI BRUCE LEE
Bruce Lee approda nel mondo della arti marziali all'età di 13 anni seguito personalmente dal grande maestro di Wing Chun Yip Man ma la sua sete di conoscienza lo porta a studiare molte altre arti marziali tra le quali citiamo il Judo, l'Aikido, l'Hapkido, il Jujitzu e varii altri tipi di lotta. Egli infatti riteneva che da un arte marziale si dovesse estrarre solamente l'efficace gettando via tutto il resto. Odiava le mentalità chiuse tipiche orientali, non si curava molto della forma e dei rituali... prendeva quello che gli serviva e proseguiva nella sua ricerca.
Yip Man - primo maestro di Bruce Lee
Grande esperto di Wing Chun
Bruce che da prova della sua potenza fisica con le sue classiche
flessioni sui pollici con le braccia avanti
"No way as way, no limitation as limitation"
Questo era effettivamente lo slogan che affisse anche all'ingresso della sua palestra, con il quale si dissociava dal contesto tradizionale marziale effermando che non esisteva nessuna via come unica via e nessun limite come limite contrastando fortemente il concetto di "do" (via in giapponese intesa come la strada per arrivare a...) Aiki DO, Karate DO, Hapki DO, Ju DO per esempio.
Da questa sua continua spremitura e raccolta di essenze egli elaborò uno stile che lui stesso non riteneva uno stile perche già chiamarlo così poneva degli schemi: Il Jeet Kune do appunto; lo stile senza stile, la forma senza forme. Nessun schema, nessun principio di base... solo l'efficacia. Il Jeet Kune do favorisce l'informalità per poter adottare qualsiasi forma e non avendo un suo specifico stile può adottare tutti gli stili. Il Jeet Kune do si serve di tutti i mezzi e non è condizionato da nessuno di essi, si serve di tutte le tecniche o mezzi che sono utili al suo scopo. L'arte del Jeet Kune do consiste nel semplificare.
Bruce Lee e Yip Man
Ancora oggi il suo stile viene insegnato dai suoi allievi diretti come per esempio Dan Inosanto e Ted Wong.
Il problema che da un punto di vista marziale emerge subito è ovvio: il concetto che Bruce Lee vuole esprimere purchè valido e giustificato non può essere applicato a chiunque. Egli aveva alle spalle un grande bagaglio culturale sulle arti marziali e una grande esperienza di allievo, di ricercatore e di maestro. Molto spesso oggi il concetto che erroneamente passa è quello che ognuno è libero di inventarsi un'arte marziale con la scusa di praticare il Jeet Kune do. SBAGLIATO! -> Queste persone non hanno capito niente e sono le stesse persone che aprono scuole di Jeet Kune Do senza nessuna sostanza, senza nessuna esperienza, senza programmi o basi su cui lavorare e vi invitiamo bene a fare attenzione. D'altro canto invece ci sono associazioni riconosciute come quelle fondate dagli allievi diretti che sono di tutto rispetto purchè i maestri seguano il giusto programma e la giusta filosofia.
Non sempre la strada più corta e meno faticosa porta allo stesso luogo, noi occidentali non abbiamo pazienza, non abbiamo tempo e le cose effimere e di veloce apprendimento spesso ci attraggono. Per fortuna ancora non esiste una pasticca per imparare le arti marziali ! !
Fonti:
Bruce Lee - Jeet Kune Do - Il libro segreto di Bruce Lee di Linda Lee - "Edizioni Mediterranee"
Bruce e Brandon Lee - I segreti del cinema di arti marziali di Stephen Gunn - Edizioni Sperling & kupfer