giovedì 25 febbraio 2010

Assignment 6

Da quando ho iniziato il corso ho riscoperto lo strumento del blog come ottima occasione x poter trattare una delle mie piu grandi passioni: le arti marziali.
Ringrazio il professore x avermi dato questa opportunità di esprimere le mie opinioni sulle discipline orientali a questa "blogclasse".

Delicious

Ho potuto scoprire uno strumento assai utilile nel salvare i miei bookmarks,del tutto gratuito poi.Mi permette di poter accedere ai miei siti preferiti in qualsiasi momenti e in particolare da qualsiasi postazione internet,geniale!!!!!!

Vi posto il mio link delicious : http://delicious.com/cdvceri

mercoledì 24 febbraio 2010

Ninjutsu



Ninjutsu (arte dell'invisibilità) è la denominazione collettiva di un insieme di metodi spionaggio e strategia utilizzati sin dal cosiddetto medioevo del Giappone (1185 - 1625 circa).

La parola ninjutsu consiste di due parti:

nin (furtività, persistenza, pazienza), che in Giappone ha acquisito l'accezione ulteriore di "muoversi non visti" o "agire di soppiatto".
jutsu (arte)

Una traduzione possibile del termine ninjutsu è: "tecnica delle operazioni furtive". Qualche volta si incontra la grafia latinizzata ninjitsu, ma si tratta di una forma aberrata dello stesso termine diffusa soprattutto nei paesi angolosassoni. Il ninjutsu è ormai noto in Giappone e soprattutto in Europa come una delle antiche (koryu) Arti Marziali giapponesi. L'esperto per definizione nelle tecniche di ninjutsu è rappresentato nell'immaginario moderno dal Ninja.

A partire dall'epoca Kamakura, dopo la graduale perdita di potere della casa imperiale incentrato attorno alla figura del Tenno i governatori provinciali, un tempo incaricati dall'imperatore stesso, divennero indipendenti e cominciarono una escalation militare che porterà a diverse guerre tra feudi (kuni, un tempo semplici giurisdizioni civili) e al succedersi di reggenti guerrieri (Shogun) alla guida del paese, solo nominalmente investiti dall'imperatore. È nell'epoca degli scontri più accesi tra diversi signori della guerra (daimyo), il periodo noto come dei "Feudi Combattenti" (Sengoku) che si renderanno sempre più necessarie mansioni spionistiche di militari addestrati e strategie sempre più sofisticate. Sembra che i maggiori esperti nella guerriglia fossero i signori di alcune aree geografiche remote e non politicamente forti, come Iga e Koga, che dovettero proteggersi con sistemi di intelligence piuttosto che con il dispiegamento di grandi armate. Ne sarebbe una prova il fatto che dopo l'unificazione del paese da parte di Tokugawa Ieyasu nel 1601, che darà inizio ad un Era relativamente pacifica fino alla restaurazione Meiji, egli stesso ed i suoi successori si avvalsero del servizio di alcuni uomini discendenti delle famiglie di Iga e Koga, impiegati come guardie, poliziotti e spie. In realtà la dottrina militare (bujutsu) trasmessa in diverse scuole antiche, talune ancora esistenti, contiene spesso un repertorio di tecniche di guerriglia e spionaggio chiamato Ninjutsu. D'altra parte il sistema tipico di trasmissione delle varie conoscenze tecniche nei clan giapponesi, attraverso una tradizione prettamente orale e un insegnamento diretto delle varie conoscenze, fa si che la comprensione attuale di queste arti sia a volte dubbia e debba fare i conti con interpolazioni e leggende.

Con alcune eccezioni, dovute al tentativo di alcuni maestri di dare vita a nuovi sistemi di Arti marziali giapponesi basati su queste tecniche, il Ninjutsu è praticato marginalmente e più spesso come complemento tecnico e teorico nel contesto di discipline marziali tradizionali e definisce ormai esclusivamente le tecniche utilizzate nel passato feudale giapponese



La figura storica dei ninjia

I ninja portavano abiti neri per la notte e abiti di colore marrone-cachi per le ore del giorno: lo sappiamo grazie ad esemplari autentici conservati nel museo Ninja di Iga-Ueno. Erano esperti di arti marziali e la preparazione fisica meticolosa occupava gran parte della loro giornata: uno degli esercizi più in voga era quello di saltare di ramo in ramo roteando il corpo attorno al fulcro costituito dalle braccia tese. All'occorrenza, poi, un Ninja poteva fungere da sicario e compiere un omicidio mirato, ma mai una strage, come alcuni cruenti videogiochi o telefilm ci hanno abituato a vedere. Essi, poi, non erano soltanto delle spie. Oltre allo spionaggio vero e proprio, costoro erano esperti di sabotaggio, tortura, ed appunto, l'eliminazione fisica degli avversari (omicidio mirato), azioni tipiche dei commando. Praticavano le arti marziali ai livelli più eccelsi. Erano, in breve, polivalenti. Non di rado, avevano compiti di polizia per il mantenimento dell'ordine pubblico, oppure costituivano una specie di servizio segreto alle dipendenze del daimyo locale. Infine, spesso, erano pure investiti del compito di guardia del corpo dello shogun: una specie di guardia pretoriana nipponica.[1]. I Ninja operarono dal 1185 circa alla fine dello shogunato, nel 1868, quando ebbe termine il cosiddetto "Medioevo giapponese". In realtà essi non smisero di esser addestrati, ma il loro utilizzo divenne maggiormente "mirato" e la loro preparazione venne rigorosamente e meticolosamente organizzata a livello centrale da parte dello Stato: diminuirono di numero, ma la qualità delle loro prestazioni aumentò notevolmente. Ad esempio, a differenza di quanto avveniva nei secoli precedenti, a partire dal 1890 essi erano obbligati ad imparare una o più lingue straniere. Figure di agenti infiltrati nelle linee nemiche con caratteristiche identiche a quelle dei Ninja sono state descritte dalle fonti dell'esercito zarista durante la Guerra russo-giapponese, e precisamente nelle battaglie del Fiume Yalu, di Mukden e durante l'assedio di Port Arthur. Inoltre, siamo abituati allo stereotipo del guerriero Ninja armato di una sciabola, la Katana, tipica del samurai. In realtà, l'armamento dei Ninja era quanto mai variegato e scelto in base alla tipologia di missione che in quel particolare frangente era da compiere [2]. Pertanto, oltre alla katana, esisteva un arsenale composto da archi e dardi, giavellotti, pugnali, e via discorrendo. Nella fattispecie entravano nel loro corredo:

* la Katana (sciabola)
* la Ninjatô anche chiamata Shinobi-to (un particolare tipo di spada a profilo dritto e più corto rispetto alla tradizionale katana);
* il Bō (un bastone molto lungo);
* la Wakizashi (spada corta, ad un solo filo);
* il Kunaï (un coltello in metallo atto a scavare piccoli buchi nel terreno, all'occorrenza utilizzabile anche come dardo da lancio)
* le Shuriken o shaken (letteralmente lame volanti sia di forma circolare sia oblunghe. Sono note come "Le stelle dei Ninja")
* le Bo-Shuriken chiodi lunghi 20 - 30 centimetri da posizionare negli spazi interdigitali per poter esser lanciati);
* la Kaginawa (ancorette unite ad una corda, sia da lancio, che per arrampicarsi);
* la Kamayari (una picca con arpione);
* la Kusarigama (falcetto con una catena attaccata all'incrocio tra lama e manico. la catena aveva anche un peso all'altra estremità);
* i Manrikigusari (coppia di piccoli pesi posti all'estremità di una catena)
* i Mizugumo (dei galleggianti per attraversare pozze d'acqua);
* il Tanto (tipico coltello da uso quotidiano giapponese)
* le Ashiko (calzature chiodate);
* il Tekagi e la sua variante, il Shuko (bracciali puntuti e pugni di ferro anch'essi puntuti);
* il Jô (una spenga);
* la Fukumibari (una cerbottana);
* le Makibishi (chiodi a quattro punte da disseminare sulle strade) e le loro varianti, le Tetsubishi (dardi a quattro punte per egual fine);
* la Naginata (una alabarda);
* il Kyoketsu Shogei (un corto pugnale con paramano curvo che dà la forma di un arpione, dotato di una lunga corda con al termine un anello metallico);

Entrarono, in tempi recenti (a partire dal 1700) anche armi da fuoco (piccoli obici quali gli Ōzutsu) e granate Metsubushi (目潰し, "Chiudi occhi", ovvero piccole bombe dirompenti a carica metallica). In pratica, i Ninja non ebbero in alcuna epoca quell'alone di guerrieri dalle caratteristiche "soprannaturali" che il cinema ci ha da sempre mostrato. Semplicemente, essi erano una casta di guerrieri che operavano in genere singolarmente ed il cui teatro d'azione era talmente vasto che poteva andare dalla semplice raccolta di informazioni, all'omicidio su commissione.


Muay Thai




La Muay Thai (in lingua thailandese มวยไทย) nota anche come Thai Boxing o Boxe Thailandese, è uno sport da combattimento che ha le sue origini nella Mae Mai Muay Thai, antica tecnica di lotta thailandese. La Mae Mai Muay Thai studia combattimenti sia con le armi che senza ed era utilizzata dai guerrieri thailandesi in guerra, qualora avessero perso le armi.
Attualmente il termine Muay Thai oggi identifica prevalentemente l'aspetto sportivo dell'arte marziale.

Rituali pre-combattimento
La fase che precede il combattimento è la parte che si può definire come la più importante per l’atleta, infatti, in questi attimi il combattente deve trovare la concentrazione, la tranquillità e il favore degli spiriti benigni per far si che il combattimento abbia un buon esito. Tutto questo si verifica con lo svolgimento di tre rituali pre-combattimento che sono: - Kuen Suu Weitee, - Ram Muay, - Pitee Tod Mongkon.
Kuen Suu Weitee
L’entrata nel ring è un momento molto importante, essendo un punto focale nella preparazione dell’atleta all’incontro dal punto di vista psicologico. È una fase di meditazione, preghiera e incantesimi nonché un susseguirsi di gesti scaramantici e magici come per esempio il modo di salire le scale del ring e passare le corde. Tutto questo serve per infondere fiducia all’atleta e per sgomberare la mente da pensieri inutili che possono condizionare il modo di affrontare l’incontro.
Ram Muay
La Ram Muay è una danza rituale che viene eseguita con movimenti lenti e simbolici accompagnati da una musica che prende il nome di Dontree Muay (musica che accompagna tutto lo svolgimento dell’incontro, l’intensità della Dontree Muay cresce man mano che l’incontro si fa più cruento). Questa danza serve per ottenere il favore degli spiriti benigni e per scacciare gli spiriti maligni dal terreno dello scontro. Questo rituale ha una valenza non solo religiosa ma anche pratica, infatti, viene usata come forma di stretching per riscaldare i muscoli e prepararli allo scontro.

L’esecuzione di questa danza viene accompagnata dalla recitazione in modo silenzioso di preghiere e formule magiche propiziatorie, che servono per ottenere un buon esito dello scontro. I movimenti che caratterizzano la Ram Muay possono variare o essere completamente diversi a seconda della scuola di appartenenza o dello stile di combattimento utilizzato dall’atleta. La Ram Muay oltre ad avere un significato mistico-religioso mira fondamentalmente a dimostrare devozione religiosa, umiltà e gratitudine da parte dell’allievo, nei tempi antichi il rituale era rivolto a dimostrare devozione al Re e al proprio mentore, oggi invece è rivolto all’organizzatore dell’incontro e al proprio allenatore. La Ram Muay si sviluppa in tre fasi fondamentali: - Whai Khru o Whai Khru Ram Muay, - Taa Phrom Naang, - Phrom Si Na.
Whai Khru
Il Whai Khru è la parte più importante della Ram Muay, è un rito di puro rispetto che prende varie forme in diversi contesti, per capire il significato in modo corretto nel contesto della Muay Thai bisogna capire che il Khru ovvero”maestro “ nella cultura Thai è colui che fornisce il proprio sapere; i genitori nell’ambito famigliare, i monaci nel contesto religioso, il re nel contesto assoluto. Indipendentemente dal contesto di riferimento colui che fruisce degli insegnamenti rispetta in maniera assoluta il proprio maestro e tratta i suoi pari come se fossero i suoi fratelli e sorelle all’interno del nucleo famigliare. Esistono tre diverse forme di Whai Khru che gli allievi imparano durante il loro tragitto di apprendimento:

Kuen Khru, Yor Krhu:

Questa è la forma che viene eseguita dall’allievo quando viene accettato come studente dal maestro, che si impegna a insegnarli tutto il suo sapere.

Whai Khru Prajam Pee:

Questa è una forma particolare del Whai Khru che viene eseguita in occasioni particolari, (ad esempio in occasione di celebrazioni religiose), come omaggio al proprio maestro e come forma di rispetto per i maestri passati

Whai Khru Ram Muay:

Questa è la forma che gli atleti eseguono prima di un combattimento e assume questo nome perché il Whai Khru viene inserito in una danza rituale detta Ram Muay.

Molti sostengono che ci sia una quarta forma della Whai Khru detta Krob Khru, forma che viene riservata a coloro che dopo un lungo percorso d’apprendimento vengono iniziati al ruolo di insegnanti, e ritenuti pronti per diffondere le proprie conoscenze. Questa danza è senza dubbio un aspetto affascinante e spettacolare della Muay Thai e non essendo strettamente legata alla religione può essere eseguita anche da atleti occidentali.

Oltre ad essere un segno di omaggio e rispetto verso il proprio maestro questa danza è ricca di significati, che assumono un valore differente asseconda dell’atleta che la esegue, ma tutti gli atleti, in segno di rispetto, si volgono verso il proprio maestro e devono effettuare tre inchini “Saam Krab” alternandoli alla classica posizione delle mani congiunte in preghiera che prende il nome di “Thep Panom”. Con questi passaggi si intende ringraziare e omaggiare la propria nazione, la propria religione, e il proprio maestro e tutti i guerrieri Thai presenti e passati. Il termine Whai Khru tradotto letteralmente vuol dire omaggio al maestro, ovvero omaggio a colui che ti ha donato il suo sapere.
Taa Phrom Naang
Questa parte viene identificata come la parte della Ram Muay fatta a terra, nella quale l’atleta effettua movimenti lenti e precisi che simulano i vecchi bendaggi utilizzati nei tempi antichi, il volo del cigno simbolo di libertà (considerato un animale sacro). I movimenti vengono ripetuti tre volte per omaggiare il proprio maestro e guerrieri passati, la propria patria e la propria religione. In più questa fase permette all’atleta di fare stretching alle gambe preparandole per l’incontro.
Phrom Si Na
Questa fase della Ram Muay è la parte in piedi della danza anche qui l’atleta ripete per tre volte gli stessi movimenti fatti nel Taa Phron Naang con lo stesso significato, in questa fase si va a stimolare le anche per prepararle allo sforzo che dovranno subire durante l’incontro. Questa è la parte più importante per atleta in quanto egli mostrerà tutta la sua indole guerriera al proprio avversario compiendo ripetute volte il passo del guerriero.
Pitee Tod Mongkon
Una volta finite tutte le fasi della Ram Muay l’atleta va verso il suo maestro, che con le mani congiunte al volto inizia la recitazione in modo silenzioso di preghiere e formule magiche propiziatorie per il buon esito del combattimento. Finite le preghiere e i riti propiziatori toglie dalla testa dell’allievo il Mongkon e lo pone sul proprio angolo con la funzione di proteggere l’allievo dagli spiriti maligni per tutta la durata dell’incontro.




Wushu Kung fu



Il termine Wushu, letteralmente tradotto dal cinese significa "Arte Marziale",è nato in Cina ed è considerato l'antesignano di tutte le Arti Marziali.
Il Wushu si è sviluppato per millenni, facendo parte integrante di diverse religioni e culture cinesi , non prevedendo solamente una preparazione fisica ma trovando nel Wushu una capacità psicologica per il rafforzamento dei propri pensieri, della propria vitalità oltre che della propria salute.
Per questo lungo periodo di tempo è stato adottato anche come mezzo, arte di difesa - offesa sia nei campi di battaglia sia contro nemici individuali.
Nella Repubblica Popolare Cinese il wushu è materia di insegnamento scolastico; Gli insegnanti si laureano presso l'Istituto di Educazione Fisica di Pechino - specializzazione Wushu
Il valore atletico del Wushu dei nostri giorni si ritrova nell'educazione e nell'affinamento dei movimenti che devono risultare comunque fluidi, morbidi, eleganti nella loro veloce e spesso complessa successione di gesti, movimenti nei quali la centralità e l'equilibrio del corpo è fondamentale.
Dopo il successo di immagine che il Wushu ebbe partecipando, quale disciplina dimostrativa orientale, ai Giochi Olimpici di Berlino del .1936 gradualmente si è modificato tecnicamente adattandosi alle esigenze competitive dell'occidente diventando un interessante sport internazionale e ponendo le premesse per diventare uno sport olimpico.

Wushu moderno sportivo

Il Wushu moderno sportivo è stato sport dimostrativo alle Olimpiadi del 2000. Alle Olimpiadi di Pechino del 2008 si è tenuta una competizione di Wushu ma non è stato uno dei 28 sport ufficiali. Il Wushu moderno può essere suddiviso in 2 rami principali detti Taolu e Sanshou. Con Taolu si indicano delle sequenze di movimenti codificate e concatenate nelle cosidette "forme", mentre con il termine Sanshou si indica il combattimento.
Taolu
Le sequenze di movimenti seguono i principi di diversi metodi e stili, e possono essere a mano nuda o con attrezzi ed armi.
Nelle arti marziali cinesi l'uso delle armi si è sviluppato parallelamente alla pratica a mani nude.

Nel Wushu moderno le armi fondamentali sono:

* la sciabola
* il bastone
* la spada
* la lancia

Sanshou, Sanda

Il Sanda (o Sanshou) è l'erede sportivo dell'antica tradizione del combattimento a mani nude cinese e nel passato le competizioni di combattimento libero erano molto popolari.

Dal punto di vista tecnico questa disciplina permette di utilizzare un'ampia varietà di tecniche che comprendono colpi portati con le gambe, pugni e proiezioni ovvero tecniche che prevedono l'atterramento dell'avversario durante le azioni di corpo a corpo.

Il combattimento e l'addestramento prevede che si indossino adeguate protezioni: guantoni, paradenti, caschetto, corpetto, conchiglia e paratibie.

martedì 23 febbraio 2010

Kung Fu




Con il termine cinese Kung Fu spesso e volentieri gli occidentali intendono le arti marziali cinesi, ma in realtà il suo significato originale significa esperienza in una qualsiasi abilità, non neccessariamente legata al mondo delle arti marziali.

Arti marziali cinesi è una denominazione che si riferisce alla totalità dei vari stili di arti marziali nati in Cina.

Le arti marziali cinesi, nel loro insieme, hanno ricevuto molte denominazioni diverse, a seconda del luogo e del periodo in cui si sono diffuse. Quando, negli anni trenta, le arti marziali cinesi e giapponesi iniziarono ad essere conosciute in occidente, la conoscenza delle lingue e delle culture dell'asia orientale erano molto limitate. Questo ha portato spesso alla creazione di leggende e di miti (molti dei quali sopravvivono ancora oggi) e ad un uso improprio di molti termini cinesi.

* Kung Fu (pinyin: gōng fu) è il termine più popolare in occidente e ad Hong Kong, soprattuto a causa della diffusione, con questo nome, del cinema sulle arti marziali cinesi. In cinese kung-fu letteralmente significa "esercizio eseguito con abilità" e rappresenta il percorso necessario all'apprendimento profondo di una disciplina (non necessariamente marziale). Per estensione, questo termine indica anche il raggiungimento di un ottimo livello; possedere il kung-fu rappresenta il raggiungimento dell'assoluta padronanza della tecnica.
* Wushu (Wade-Giles: Wu Shu) è il termine più usato nella Repubblica popolare cinese, e si sta sempre più diffondendo anche in occidente. Wu Shu può essere tradotto letteralmente con "arte marziale" ed è un nome collettivo che racchiude al suo interno tutta la miriade di tecniche e stili di combattimento diffusi sul territorio cinese.
* Guoshu (Wade-Giles: Kuo Shu) è il termine più diffuso a Taiwan e significa letteralmente "arte nazionale".
* Quanfa (Wade-Giles: Ch'üan Fa) è una denominazione generica che significa "tecniche di pugno" ossia il pugilato nel senso di combattimento a mani nude.
* Zhongguo quan (Wade-Giles: Chung Kuo Ch’üan) significa "boxe cinese".

Origini leggendarie e storia

Esiste un gran numero di leggende sull'origine delle arti marziali cinesi. Quello che si sa di sicuro è che le prime rappresentazioni artistiche di uomini (probabilmente soldati) in posa marziale risalgono al periodo preistorico (oltre 4000 anni fa). Le arti marziali cinesi rimasero essenzialmente composte da una serie di danze di guerra e da esercizi fisici di preparazione militare fino al periodo denominato "primavere ed autunni" (770 - 476 a.C.) dove nacquero e si svilupparono le grandi correnti filosofiche cinesi come il Taoismo ed il Confucianesimo. In questo periodo le tecniche marziali iniziarono a fondersi con la filosofia e la religione fino a diventare un argomento di studio persino nei monasteri.

Nonostante l'origine delle arti marziali intese più propriamente come metodo di combattimento sia antico e non definito, è da sottolineare che quando si parla di Kung-fu si può più semplicemente prendere come punto di riferimento lo stile Shaolin originario, cioè quello fondato da Bodhidharma nel 500 d.C. circa nell'omonimo monastero. Successivamente si sono sviluppati innumerevoli altri stili e altre arti marziali, ma tutte in modo diretto o indiretto derivate dallo stile Shaolin-quan fondato da Bodhidharma.

La mitologia dello Shaolin Kung-Fu (Piccola foresta e duro lavoro), dicono che il Tempio Shaolin e i monaci furono creati dall'imperatore cinese dell'epoca, come guardia imperiale; la leggenda narra che studiarono il comportamento degli animali per affinare le tecniche di difesa ed attacco, da qui le varie diramazione di stili moderni quali: mantide del nord, tigre bianca, hung gar, tutti derivanti dallo stile principale Shaolin. Il mito dei monaci Shaolin non conosce confini in Oriente, al punto di aver attribuito ad una battaglia l'epico gesto di quattro monaci che da soli hanno sconfitto un esercito di mille mongoli, grazie alle tecniche di Qi-Gong (tecnica della camicia di ferro o insensibilità al dolore).

Le varie persecuzioni religiose che avvennero sotto le dinastie imperiali segnarono il declino di molti templi (fra cui il famoso tempio di Shaolin) e la nascita di "scuole" di arti marziali molto simili a sette segrete ed esoteriche. Questo portò ad un frammentarsi delle tecniche e delle conoscenze dando vita a migliaia di stili molto differenti fra loro, senza contare gli innumerevoli stili detti "del contadino" praticati dagli abitanti delle campagne e che si tramandavano di generazione in generazione.

Durante la grande rivoluzione culturale le guardie rosse, legate alla banda dei quattro, cercarono di distruggere i vari stili di kung-fu. Specialmente quelle più "esoteriche" rischiarono di essere cancellate in quanto viste come un retaggio dell'epoca imperiale sopravvivendo solo come attività sportiva controllata e coordinata da un organismo centrale. Tuttavia oggi stiamo assistendo ad una graduale riscoperta delle tecniche e degli stili più tradizionali.

La difesa personale e l'arte marziale nell'Aikido



L'Aikido non è una disciplina finalizzata al combattimento e fondata sulla ricerca dell'attacco risolutivo e del colpo offensivo definitivo, ma si fonda invece sulla ricerca del migliore comportamento difensivo atto ad evitare la contrapposizione e favorire il disimpegno dal combattimento, con la finalità di rimanere incolumi da danni ed offese: occorre quindi tener ben conto di questa sua peculiare caratteristica quando si voglia parlare dell'Aikido nei termini di arte marziale e/o strumento di difesa personale. Quando le tecniche di Aikido venissero usate per attaccare per primi portando un’offesa anziché usare queste tecniche per la difesa, esse verrebbero di fatto private del fulcro portante su cui si basa e si fonda la loro efficacia.

La difesa perfetta perseguita nell'Aikido è quel comportamento che realizza la perfetta immunità da danni ed offese: pertanto questo obiettivo viene sicuramente raggiunto innanzi tutto quando l'aikidoka riesce a non farsi coinvolgere in un combattimento oppure, in subordine a ciò, quando riesce a vanificare l'attacco dell'avversario ed a farlo desistere dai suoi propositi aggressivi ed offensivi.

L'efficacia delle tecniche di Aikido

Nell’Aikido si opera una distinzione preliminare per definire cosa s'intenda specificamente per “efficacia”. Se si intende l'efficacia sotto il profilo prioritario ed esclusivo della difesa in quanto tale, allora l'Aikidō può considerarsi idoneo ed efficace nel raggiungere lo scopo della difesa personale, mentre se si intende invece l'efficacia seguendo il principio assai diffuso secondo cui il concetto di difesa è visto sotto il profilo prioritario di riuscire ad arrecare all'avversario un’offesa risolutiva del conflitto prima che l'avversario sia riuscito a portare il proprio attacco, allora la risposta non è più certa, poiché non è questa la finalità dell'Aikido dichiarata dal suo Fondatore, Morihei Ueshiba.

Infatti secondo i principi dell'Aikido la difesa che consente la risoluzione del conflitto non si ottiene nel momento in cui si è causato all'avversario un'offesa od un danno risolutivo, poiché in questo caso si devono porre in essere strategie e tattiche volte all'offesa e non alla difesa e non si deve più quindi parlare di tecniche di difesa personale ma di offesa personale, raggiunta attaccando l'avversario prima che sia lui ad attaccare.

In quest’ultimo caso, poiché le tecniche di difesa personale impiegate nell'Aikido sono invece, secondo i principi di questa disciplina, estremamente specifiche nel prevedere il compito della difesa al punto che nella pratica dell'Aikido sono prefissati i ruoli di attacco e di difesa, difficilmente esse manterrebbero la loro piena efficacia nel momento in cui fossero stravolte nella loro naturale e nativa impostazione, cioè nel fine e nello scopo specifico per cui esse sono concepite, il quale non è quello di arrecare un’offesa attaccando per primi, ma quello della realizzazione di un'efficace risposta di difesa basata sul contrattacco. Perciò quando si affronta la questione dell'efficacia delle tecniche di Aikido è bene tener sempre presente che l'arte strategica e la specialità tecnica distintiva di questa disciplina è quella di perseguire un'azione tattica mirata ad evitare la contrapposizione fin dal suo possibile insorgere, attraverso uno specifico comportamento di disimpegno difensivo, non finalizzato all'attacco né tanto meno all'offesa.

La priorità strategica dell'aikidoka nella scelta della sua azione tattica difensiva è quindi quella di arrivare alla risoluzione del conflitto senza subire offesa, impiegando le tecniche dell'Aikido non nella ricerca di riuscire ad infliggere dei danni risolutivi all'avversario, ma essenzialmente al fine di disimpegnarsi da lui e dal combattimento stesso.

In questo contesto non si prende ovviamente in considerazione l'uso delle armi da fuoco od altri moderni manufatti artificiali atti a colpire a distanza, ma esclusivamente le possibilità di offesa e di difesa offerte dal corpo umano a mani nude e consentite dal corpo a corpo, anche eventualmente con l'impiego delle tradizionali armi bianche; i principi di difesa personale su cui si basa l'Aikido mantengono però tutta la loro valenza strategica, etica e morale, anche nel caso di contrapposizione con armi diverse, cambiando naturalmente in modo opportuno ed adeguato la parte tattica, secondo l’esigenza d’uso e di impiego richiesto dai sistemi d’arma utilizzati.

La corretta vittoria

Nell'Aikido il successo nell'azione di disimpegno dal combattimento è indicato come il traguardo della corretta vittoria (dal Fondatore chiamata 正勝 masakatsu), per raggiungere la quale occorre allenare non solo il corpo ma soprattutto lo spirito per conquistare la padronanza di sé stessi (dal Fondatore chiamata 吾勝 agatsu, cioè vittoria su di sé stessi) al fine di conseguire la capacità interiore della rinuncia al confronto, privilegiando sempre ed in ogni caso la strada del superamento del conflitto attraverso il disimpegno dall'antagonismo e dal combattimento. In questo modo l’Aikido persegue un tipo di difesa che vanifichi l’attacco dell’avversario controllando perfettamente la sua azione fin dal suo insorgere (condizione che il Fondatore definiva 勝早日 katsuhayabi), senza giungere a produrgli dei danni e delle offese: l’aikidoista si pone cioè nella condizione di salvaguardare la propria incolumità concedendo nel contempo all’avversario l’opportunità di convincersi a desistere dai suoi propositi offensivi, prima che l'aikidoista debba ricorrere, per legittima difesa, ad azioni coercitive nei confronti dell’avversario nel caso questi perseverasse nei suoi propositi offensivi reiterando il suo attacco.

La corretta vittoria indicata dal Fondatore e perseguita dall’Aikido (正勝 吾勝 masakatsu agatsu) si consegue dunque quando si è riusciti innanzi tutto ad evitare di ricevere un danno a seguito di un attacco offensivo, ma questo risultato da solo non è sufficiente se contemporaneamente non si riesce a rimuovere all'origine ed esattamente nell'istante e nella circostanza della sua insorgenza (勝早日 katsuhayabi) [11] anche la minaccia da cui il danno potenziale poteva giungere. Per ottenere ciò all'aikidoista non è sufficiente evitare le possibili conseguenze negative che possono derivargli dagli attacchi di potenziali avversari; è anche indispensabile che ai potenziali avversari si renda possibile la convivenza civile e la conciliazione con l'aikidoista stesso, utilizzando quindi un’azione difensiva nei confronti dell'avversario che non gli infligga già fin dall'inizio dei danni irreparabili, poiché questi giungerebbero a bloccare un possibile eventuale positivo mutamento delle relazioni dell'avversario nei confronti dell'aikidoista, in direzione meno conflittuale. L'Aikido, offre infatti la possibilità di scegliere un’azione di difesa estremamente efficace ma non offensiva e qualora questa scelta sia sufficiente a consentire di ottenere il perfetto controllo dell’avversario (勝早日 katsuhayabi) e quindi la positiva risoluzione del conflitto, ciò avviene senza obbligare l'aikidoista a ricorrere all'offesa per realizzare la propria difesa.

Il bagaglio tecnico dell’Aikido, estremamente ampio e flessibile, consente di scegliere una condotta d’intervento sull'azione avversaria anche solamente per stornarne gli effetti potenzialmente dannosi; in secondo luogo consente l'eventuale recupero dell’avversario nei confronti delle sue relazioni con l’aikidoista in quanto l’avversario, non essendo riuscito nel suo iniziale intento offensivo e non avendo ancora subìto nel contempo dei danni dall’azione difensiva dell’aikidoista, è ancora in tempo a scegliere non solo di desistere dal suo manifestato atteggiamento offensivo nel timore di dover soccombere qualora insistesse nel suo proposito, ma può ancora anche scegliere di lasciarsi di buon grado condurre dall'aikidoista verso un bene comune superiore a quello del conflitto da lui originato ed eventualmente, memore del rispetto ricevuto, lasciarsi condurre verso la realizzazione di una socializzazione ed una pacificazione che lui prima non concepiva.

È questo il modo in cui, entro certi limiti, l'Aikido può consentire di rispettare l’integrità dell’avversario offrendo nel contempo all’aikidoista la possibilità di sottrarsi agli effetti dell'attacco di cui è fatto oggetto: il bagaglio tecnico dell'Aikido è talmente ampio e diversificato da consentire all'occorrenza di portare anche efficaci azioni coercitive sull'avversario la sua integrità, in questo caso, potrà essere condizionata dalla possibilità da parte dell’aikidoista di mantenere comunque prioritariamente la propria incolumità, in accordanza con il principio fondamentale della salvaguardia del diritto alla legittima difesa in funzione dell’imperativo naturale dettato dalla legge dell’istinto di sopravvivenza.

L’aspirazione a realizzare queste condizioni rendendo possibile porre in atto la propria difesa senza dover obbligatoriamente ricorrere all'offesa, è il traguardo spirituale ed il valore etico e morale che l'Aikido propone alla società civile.